INTRODUZIONE
Il dipinto ha la forma di un trittichetto a sportelli richiudibili, ma è caratterizzato da un’accentuata curvatura, visibile in particolare nello scomparto centrale, che per ragioni di conservazione si può ipotizzare non causata da deformazioni manifestatesi nei secoli passati. È possibile che l’opera, pur soggetta a un progressivo imbarcamento nel corso del Novecento, sia nata con una sagoma convessa, atta alla sua originaria collocazione sulla superficie curva di una parete o di una colonna. Si tratterebbe, in tal caso, di una tipologia piuttosto rara in seno ai trittici di piccole dimensioni, in genere destinati alla devozione privata di laici o religiosi.
Sul piano iconografico, essa documenta la fortuna assunta nel tardo Trecento dal tema della Madonna dell’umiltà posta su un prato fiorito, che conobbe una specifica diffusione nell’ambiente artistico veneziano sino al primo quarto del secolo successivo. Alla Vergine fanno corona quattro santi tra i più consueti nelle consuetudini devozionali del tempo e la raffigurazione, al sommo, del Cristo in pietà. La cornice, provvista di guglie intagliate che simulano efflorescenze, è parte integrante del supporto e risulta originale.
Il trittico di Modena fa gruppo con altri esemplari, simili per formato, tipologia e iconografia, che gli studi, a partire da una nota di Roberto Longhi, hanno riferito all’autore del polittico già nella chiesa di Santa Maria a Mare a Torre di Palme, nei pressi di Fermo. Tale personalità si configura come un seguace di Lorenzo Veneziano, attivo in laguna negli ultimi decenni del Trecento e agli albori del Quattrocento, che diffuse le sue opere su tavola lungo il litorale adriatico, da Trieste alle Marche. La definizione del suo percorso e del suo catalogo è relativamente recente, come recenti sono le ipotesi in merito all’identificazione con alcuni pittori operosi in laguna a cavallo fra Tre e Quattrocento, al momento in attesa di conferme specifiche.
La tavola della Galleria Estense condivide con altre l’adesione alla tendenza neo-giottesca che investì l’ambiente figurativo veneto ed emiliano del tardo XIV secolo, in parallelo al Maestro della Madonna Giovanelli: essa emerge nelle figure sommariamente sbozzate, nei profili acutangoli e nei tratti marcati, associandosi a quel sostrato linguistico tipicamente veneziano che il maestro rivela anche nel trattamento dell’oro. Sebbene nessun dipinto del Maestro del polittico di Torre di Palme si fregi di una data di riferimento, quello in predicato può essere collocato sullo scorcio del Trecento, in lieve anticipo sugli esiti finali del suo percorso, distinti da singolari convergenze con lo stile di Jacobello del Fiore e ormai proiettati nel panorama della pittura tardogotica veneziana.
STORIA E ICONOGRAFIA
Storia dell’opera
Provenienza
Modena, collezione marchese Giuseppe Campori (1821-1887); Modena, eredi di Giuseppe Campori; Modena, Palazzo dell’Albergo delle Arti, Sala dei Benefattori, dal 1891; Modena, Galleria Estense in Palazzo dei Musei, dal 1894.
La tavola fa parte del gruppo di dipinti pervenuti dalla collezione Campori e può riconoscersi nel “Trittico antico dorato con figure di santi” menzionato, privo di un’attribuzione specifica, tra quelli collocati nel Palazzo dell’Albergo delle Arti nel 1893-1894, distinti da tale provenienza.1 Si tratta dell’opera più antica tra quelle un tempo nella raccolta modenese che oggi sono esposte nella Galleria Estense. Le scarse notizie finora disponibili sul collezionismo dei fratelli Giuseppe e Cesare Campori, e a monte del padre Carlo († 1857), non consentono di individuarne la precedente ubicazione.2
Funzione originaria e tipologia del manufatto
Il dipinto costituisce una testimonianza piuttosto inusuale di trittichetto ad ante mobili. Manufatti di questo genere erano solitamente realizzati per la devozione personale di laici o di religiosi: nel primo caso in ambienti domestici privati o semi-privati, in particolare la camera da letto, ove erano sovente riposti in appositi ‘armaroli’ (armadi) o in armaria (per lo più nicchie aperte nelle pareti);3 nel secondo nelle celle di conventi e monasteri. La forma singolarmente convessa della tavola, che si ha ragione di ipotizzare come originale (cfr. Tecnica di esecuzione e stato di conservazione), rende l’oggetto conforme alla collocazione sulla superficie curva di una colonna4 o a ogni modo di un segmento di parete a sagoma curvilinea.5 Tale funzione suggerirebbe l’origine da un edificio religioso, ma non si può escludere a priori la provenienza dalla piccola cappella di un’abitazione privata o da altra zona della vita domestica caratterizzata da murature non rettilinee.
Se tale fosse stata la destinazione iniziale, è difficile pensare che l’opera, con il suo peculiare supporto, potesse aprirsi e chiudersi come i trittici più consueti. È quindi un interrogativo aperto la ragione per cui il suo artefice abbia adattato una tipologia diffusa a un uso per il quale non esistono particolari termini di raffronto.
Uno tra i primi esempi di trittici di piccole dimensioni con la raffigurazione della Madonna dell’umiltà e santi, realizzato da Lorenzo Veneziano nella sua fase matura (Londra, National Gallery, 31,3 x 57,5 cm),6 era stato concepito come una tavola unica, di formato rettangolare e priva di cuspidi. Tale genere ebbe una fortuna piuttosto limitata nella pittura veneziana tra XIV e XV secolo, mentre lo stesso Lorenzo si cimentò agli inizi dell’ottavo decennio del Trecento nel genere del trittico a sportelli mobili (Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, 83,6 x 60,7 cm), dotato di cuspidi e di un fastigio a intagli fogliacei.7 Benché differente nel soggetto principale, esso rappresenta uno tra i precedenti essenziali per la genesi e la diffusione di simili manufatti in area veneta a fine secolo, anche per la divisione interna in più registri sovrapposti e l’inclusione al sommo delle antine dell’episodio dell’Annunciazione.8
Quanto all’autore del dipinto in predicato, la bottega del Maestro del polittico di Torre di Palme si dedicò con successo alla produzione di questo tipo di oggetti, tanto da ricevere inizialmente il nome di comodo di Maestro degli altaroli (cfr. Attribuzione, commento critico e datazione). Quello dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (65 x 46 cm; Fig. 2) è un poco più ridotto nelle dimensioni e così l’altro della Pinacoteca Malaspina a Pavia (ca. 48 x 48 cm, al netto del perduto coronamento intagliato; Fig. 3).9 Entrambi esibiscono nondimeno la stessa cornice ad arco a tutto sesto, arricchita da palmette sovrapposte, che inquadra la Madonna dell’umiltà e si eleva su colonne spiralate e capitellini, come d’altronde visibile nel namepiece dell’anonimo maestro. I trittichetti di Modena e Boston condividono inoltre l’archeggiatura trilobata interna, nonché, insieme a quello di Pavia, la sagomatura trilobata della cimasa, con arcata centrale più ampia e fusa con i salienti della cuspide che la circoscrive. Tutti questi elementi sono puntualmente replicati in un quarto, meno noto trittichetto di analoga fattura e iconografia (già Vienna, galleria Silberman; Fig. 4), noto a Federico Zeri, che lo incluse nel fascicolo della sua fototeca dedicato al Maestro del polittico di Torre di Palme.10 Un quinto esemplare di tale tipologia, licenziato dallo stesso artista, è solo in parte identificabile: di esso si conoscono unicamente le ante (New York, Brooklyn Museum) – raffiguranti otto santi e, come di consueto, l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata – che misurano 48,6 x 15,9 cm e 49,1 x 15,7 cm.11 Tali dimensioni danno così luogo a un manufatto in origine largo 63-64 cm circa, quindi più ampio rispetto a quello in esame, mentre l’altezza, tenuto conto della rimozione delle lingue fogliacee apicali, non si discostava di molto. Le due tavolette si differenziano per la presenza di coppie di santi negli sportelli, posti analogamente su due livelli. Nell’altarolo di Pavia tali registri sono separati da cornicette orizzontali, seguendo la conformazione del trittico Thyssen di Lorenzo Veneziano, che si ripetono al sommo delle antine di quello oggi a Boston, mentre sono assenti nelle tavolette di Modena e Brooklyn.
Tecnica di esecuzione e stato di conservazione
Tecnica di esecuzione e stato di conservazione
Il trittico è formato da tre piccole assi a venatura verticale, aventi uno spessore originale pari a 2 cm, inclusa la cornice a esse solidale.12 Il supporto non è stato infatti assottigliato e il retro presenta tracce delle operazioni di lavorazione del legno; la finitura a cera e mordente potrebbe essere, tuttavia, posteriore (Fig. 1). I bordi esterni mostrano alcuni fori di chiodi (uno dei quali tuttora inserito) non originali. Ciascun scomparto è sormontato da terminazioni intagliate, anche in questo caso parte integrante del supporto, che simulano un rigoglio vegetale e si sono quasi completamente conservate, a eccezione della metà sinistra dell’elemento superiore centrale e interamente di quello destro.
Le ante sono unite al pannello mediano grazie a gangherelle, che fuoriescono dal retro. È probabile che la sagoma semicircolare, che distingue in modo particolare la parte centrale, non sia la conseguenza di un vistoso imbarcamento del legno, ma che debba intendersi come originale, benché accentuata nella curvatura attualmente visibile (cfr. Storia conservativa e restauri documentati).13 Orientano in tal senso l’assenza di rilevanti fessurazioni e spaccature nel supporto, sia sul recto sia sul verso, e l’omogeneità della pellicola pittorica, che non presenta una sensibile craquelure, né cadute o segni di un degrado dovuto a consistenti movimenti del legno.14 Le due apparenti fratture che si osservano alla base della tavola maggiore potrebbero essere connesse alla tecnica di realizzazione: si tratterebbe, pertanto, di tagli praticati per assecondare la curvatura del supporto in questo segmento di massimo spessore, che potevano essere colmati da inserti cuneiformi. Tracce di piccole rotture verticali sono localizzate nella parte alta della cornice che delimita il campo della Madonna dell’umiltà e della cuspide che la sormonta. Sia nella parte frontale sia in quella tergale si notano vari fori prodotti dall’attacco di insetti xilofagi.
La superficie pittorica presenta una preparazione chiara, presumibilmente a gesso e colla. Il fondo dorato è stato realizzato con una tecnica a guazzo sopra l’usuale bolo rosso e mostra incisioni per definirne estensione al confine con le porzioni dipinte. Si rilevano alcune sporadiche cadute e abrasioni, sia nei campi figurati sia nelle cornici, a fianco di un piccolo sfregio a destra del Cristo in pietà. La doratura è incisa per dare evidenza ai raggi che si dipartono dal corpo della Vergine, mentre le circonferenze dei nimbi di tutte le figure sono punzonate. I pendilia esterni sono ovunque formati da tre motivi floreali a cinque petali separati,15 prodotti con lo stesso punzone utilizzato nel giro perimetrale. Entro il disco si dipanano girali floreali eseguiti a mano libera, tipici della pittura trecentesca veneziana, realizzati nel solo caso della Madonna con la tecnica della granitura, secondo un procedimento visibile già in Lorenzo Veneziano, che se ne servì normalmente per la decorazione del fondo, ovvero degli spazi tra i racemi,16 e non per la definizione delle porzioni interne delle foglie, come qui evidente, al pari del caso raro esemplificato dal nimbo di san Giovanni Battista del sopra menzionato trittico di Londra.17 Questa particolarità delle vegetazioni granite al loro interno caratterizza l’operato del Maestro del polittico di Torre di Palme: si ritrova infatti nell’opera eponima e negli scomparti raffiguranti San Nicola da Bari e Santa Margherita (Milano, Fondazione Giulini Giannotti) che in origine appartenevano con probabilità allo stesso complesso.18
Il nimbo del Cristo morto esibisce lo stesso punzone esterno, doppiato da un’archeggiatura trilobata,19 mentre è internamente percorso da raggi incisi; i tre bracci della croce iscritta includono un fiore quadripetalato creato dall’unione speculare del punzoncino che disegna la suddetta trilobatura. A paragone, il rovinato trittico dell’Isabella Stewart Gardner Museum esibisce soluzioni più semplici, ridotte nei nimbi a sequenze di bolli entro un perimetro di bolli più piccoli, similmente a quello della Pinacoteca Malaspina, il quale si caratterizza per la presenza in ogni scomparto di archeggiature perimetrali.20
Motivi a guizzanti lingue floreali sono resi con l’oro in conchiglia e si svolgono estesamente nel manto di Maria, nell’abito di santa Caterina d’Alessandria e in quello di santa Maria Maddalena, ove erano in origine più doviziosi.21 Si rilevano poche e localizzate stuccature, con integrazioni a mimetico. Le condizioni di conservazione della pellicola pittorica possono ritenersi relativamente buone.
Iconografia
Iconografia
La configurazione iconografica dell’opera non mostra peculiarità di rilievo nel contesto di simili manufatti licenziati dalle botteghe veneziane di fine Trecento e del primo Quattrocento. Il soggetto della Madonna dell’umiltà fa la propria comparsa nella produzione di piccolo e ampio formato di Lorenzo Veneziano, dagli esordi sino agli anni settanta:22 la connotazione ‘fiorita’ che caratterizza il dipinto in esame si individua in alcune tra le versioni note23 e quindi nell’ultimo quarto del secolo con le tavole di Giovanni da Bologna (Venezia, Gallerie dell’Accademia) e Catarino Veneziano (una fra queste è il polittico di Baltimora, Walters Art Museum).24 Sebbene in questi casi il tema non sia declinato nel genere dell’altarolo portatile, vi troviamo esplicitato il prato che disegna un’ampia curva intorno al gruppo sacro e che, simile ad uno spicchio di cielo, veicola un significato cosmologico, rimandando altresì all’hortus conclusus del Cantico dei Cantici (4,12). Nel suo primo sviluppo tale iconografia si interseca con quella della Madonna del latte, come si riscontra in tutte le testimonianze figurative prodotte da Lorenzo Veneziano, nonché nel corpus del Maestro del polittico di Torre di Palme, con l’eccezione (di rilievo anche ai fini della datazione) del trittico qui discusso e di quello già in collezione Silberman. L’anonimo svolse l’iconografia della Madonna dell’umiltà sia al centro di polittici (Fano e namepiece già a Torre di Palme), altaroli (Modena, Boston e Vienna) e in tavole di medio formato (Perugia), con la ricorrente presenza di raggi tutt’intorno la figura della Vergine. Nei dipinti di Boston (Fig. 2) e di Vienna (Fig. 4), nonché in un terzo esemplare già presso la Galleria Altomani di Pesaro-Milano,25 la Vergine poggia altresì su un cuscino (dorato e punzonato nella prima tavola), qui assente. Un elemento distintivo della tavoletta di Modena è il capo scoperto di Maria, che fa di essa un unicum nel catalogo dell’anonimo, ma che si osserva a Venezia in alcune immagini della Madonna dell’umiltà, databili nei primi anni del XV secolo, di Jacobello del Fiore (Stoccarda, Staatsgalerie; Londra, collezione Pittas),26 ove è altresì replicata la soluzione del Bambino nudo, coperto da un drappo rosso, di cui il Maestro del polittico di Torre di Palme aveva fornito un precedente nel trittico della Pinacoteca di Fano.
L’associazione tra la Madonna dell’umiltà e il tema della Passione di Gesù ha una prima evidenza nella tavola, probabile centro di un complesso smembrato, della Courtauld Gallery di Londra ascrivibile al giovane Lorenzo Veneziano,27 ove la Vergine è sovrastata, come qui in un registro autonomo, dalla Crocifissione. Ciò si riscontra in seguito nel pentittico di Catarino oggi a Baltimora e, per quanto concerne il Maestro del polittico di Torre di Palme, nell’altarolo già nella raccolta Silberman a Vienna, mentre una simile, specifica combinazione tra tema mariano e Imago pietatis distingue quello dell’Isabella Stewart Gardner Museum.28
La scelta dei santi nelle antine, riconoscibili grazie ai tradizionali attributi (Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria a sinistra, Giacomo maggiore e Maria Maddalena a destra), risponde a canoni piuttosto comuni, essendo costoro tra i più frequenti nella devozione e spesso onomastici dei committenti dei dipinti religiosi che li rappresentavano.29 Tra le prove del fervore che interessò Giacomo maggiore si possono ricordare le disposizioni contenute in alcuni testamenti veneziani, che prescrivevano pellegrinaggi al santuario di Compostela.30 Nel trittichetto di Boston Caterina occupa lo stesso posto, in basso a destra, fronteggiata sull’altro lato da Cristina da Bolsena, mentre è analogamente abbinata alla Maddalena in uno dei due sportelli del Brooklyn Museum; come nel primo e in quello della Pinacoteca Malaspina ella appare, inoltre, priva di corona. La connessione tra la santa martire e la Madonna dell’umiltà ha uno specifico rilievo nell’ambiente veneziano, ove diede luogo all’iconografia del Matrimonio mistico di santa Caterina d’Alessandria, di cui furono divulgatrici, in anconette destinate alla devozione personale, le botteghe di Zanino di Pietro e del Maestro di Roncaiette.31 Il filatterio sorretto dal Battista non reca tracce di iscrizioni, a differenza di quello di Brooklyn.32
Attribuzione, commento critico e datazione
Attribuzione, commento critico e datazione
L’opera è rimasta confinata per vari decenni nel limbo di un’approssimativa definizione attributiva. Lasciata nell’anonimato alla fine dell’Ottocento (R. Galleria 1893-1894), considerata prodotto di un artista locale (van Marle 1924), della scuola di Barnaba da Modena (Ricci 1925; Zocca 1933), oppure di ambito bolognese del tardo Trecento (Pallucchini 1945), essa è stata associata da Roberto Longhi (1946) ai sopra citati altaroli di Boston (Fig. 2) e Pavia (Fig. 3), ovvero giudicata della stessa mano del polittico sottratto nel 1921 dalla chiesa di Santa Maria a Mare a Torre di Palme, nei dintorni di Fermo, già attribuito a Jacobello di Bonomo. Il critico collocava tale produzione nel contesto veneziano tra il 1370 e il 1390 circa, in parallelo a un secondo nucleo di dipinti (in seguito assegnato al Maestro della Madonna Giovanelli), caratterizzato dall’analoga commistione “tra motivi veneti, simpatie emiliane e allusioni ad Antonio Veneziano”. Ferdinando Bologna (1952) conferì alla prima serie l’appellativo di Maestro degli altaroli e Rodolfo Pallucchini (1964) di Maestro del polittico di Torre di Palme, “interessante personalità” di cui rilevava la discendenza dal linguaggio di Lorenzo Veneziano e di Giovanni da Bologna, nonché di Jacobello di Bonomo, eppure forse già coetanea di Jacobello del Fiore. Miklós Boskovits (1973) inserisce il trittichetto di Modena in un gruppo di tavole a suo giudizio ascrivibili a Guglielmo Veneziano, per la maggior parte ricondotte da Andrea De Marchi al Maestro di Torre di Palme (1987). Lo studioso (1997) ha altresì ipotizzato l’identificazione del pittore con Pietro di Nicolò (doc. dal 1365 al 1413),33 fratello di Lorenzo Veneziano e padre di Nicolò di Pietro, sulla base dei rapporti di collaborazione instaurati dai due artisti con Andrea e Catarino Moranzon, che distinsero in almeno un caso l’anonimo maestro.34 La paternità del trittico modenese va ricondotta a quest’ultimo anche secondo Mauro Lucco (1989).35 Con l’eccezione del parere di Serena Skerl Del Conte (1989), che rigetta entrambe le attribuzioni al Maestro di Torre di Palme e a Guglielmo Veneziano in favore dell’accostamento a Stefano di Sant’Agnese, la linea critica impostata da Longhi e arricchita da Bologna e Pallucchini ha sortito maggiori conferme ed è quella che appare, anche a giudizio di chi scrive, la più confacente alla lettura della tavola della Galleria Estense.
Stando alle conoscenze attuali, il percorso dell’artista aveva preso avvio con la Madonna dell’umiltà e angeli della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia e il trittico della Pinacoteca di Fano, che possono situarsi non prima della seconda metà degli anni settanta, probabilmente a cavallo fra questo decennio e quello successivo.36 Segue il trittico eponimo e quindi l’Incoronazione della Vergine e santi divisa tra il Museo Correr a Venezia e i Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste. A essi vengono ad aggiungersi altre opere, tra cui i tabelloni della croce intagliata da Catarino Moranzon, custodita nel monastero di San Cipriano della stessa Trieste, e l’Imago Pietatis con i simboli della Passione del Museo di Belle Arti di Budapest, in cui si fa strada un certo addolcimento dei volumi, unito ad una maggiore effusione emotiva. In questa fase, pertinente all’ultimo decennio del Trecento, si pone anche l’esecuzione dei trittichetti di Boston e Modena, cui succede un ultimo tratto di attività nel quale le tangenze con il linguaggio di Jacobello del Fiore si intensificano, conducendo, dopo la Madonna dell’umiltà e due angeli già presso il Wallraf-Richartz Museum di Colonia,37 alla genesi della Crocifissione dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste e dell’altarolo della Pinacoteca Malaspina a Pavia.38
Entro questo itinerario, privo di referenti cronologici, la tavoletta della Galleria Estense occupa una posizione di spiccata adesione a quel fenomeno di neo-giottismo che, stimolato in particolare da Jacopo Avanzi, da centri quali Padova si estese toccando anche Venezia: con il trittico già a Torre di Palme, l’Incoronazione della Vergine di Venezia-Trieste e la Sant’Anna Metterza e santi del lascito Corsi presso il Museo Bardini a Firenze essa si intreccia con il percorso del Maestro della Madonna Giovanelli, il maggiore esponente di questa tendenza in laguna, con particolare aderenza alle storie della Passione di Cristo sparse in vari musei e collezioni, databili plausibilmente non prima del 1390.39 Nella Cattura di Cristo in raccolta privata il volto di Malco e del soldato in secondo piano che occhieggia allo spettatore si direbbe trasposto in quello della Vergine di Modena, mentre quello di Gesù, nella stessa tavola o nell’Andata al Calvario (Hampton Court, Royal Collection), si legge a fianco di quello del Battista, così come del Cristo dell’Incoronazione Correr. Le anatomie stondate, segnate da tratti marcati, e i profili sgusciati del trittico in esame e delle opere dello stesso periodo si confrontano con il trittico delle Gallerie dell’Accademia a Venezia del Maestro della Madonna Giovanelli. Come riportato sopra, le convergenze tra i due anonimi veneziani erano state segnalate da Longhi (1946) e in seguito Pallucchini (1964) non escludeva che l’autore del dipinto modenese avesse “avvertito tutta la novità del messaggio altichieresco e lo traducesse nello smalto cromatico caro ai veneziani”.40 Sebbene il Maestro del polittico di Torre di Palme dimostri un registro qualitativo e soluzioni che nel dettaglio non eguagliano quelli espressi dal collega, le notate interferenze costituiscono sia la traccia del parallelismo delle rispettive esperienze figurative sia un indizio per una cronologia che, relativamente al segmento considerato, viene a orientarsi nell’ultimo decennio del secolo. A tale polarizzazione si aggiunge, in tempi immediatamente successivi, il progressivo intreccio con l’attività di Jacobello del Fiore anteriore al trittico di Montegranaro del 1407 (Pesaro, chiesa di Santa Maria delle Grazie), di cui l’altarolo di Modena è già presago, nelle confluenze iconografiche rilevate innanzi (cfr. Iconografia): una gravitazione non incoerente con la prima, se per alcuni studiosi la personalità del Maestro della Madonna Giovanelli viene a confondersi con quella di Jacobello, costituendone la fase giovanile.41 Comunque si voglia risolvere questa possibilità, si precisa una specifica linea stilistica che unisce il tandem Maestro della Madonna Giovanelli-Jacobello del Fiore al Maestro del polittico di Torre di Palme e finisce per deporre scarsamente a favore del riconoscimento di quest’ultimo in Pietro di Nicolò, pittore che, considerati gli abituali rapporti di discendenza figurativa tra padri e figli che caratterizzano le botteghe veneziane fra Tre e Quattrocento, si penserebbe per stile a monte della parlata di Nicolò di Pietro. Muovendo da queste osservazioni, Federico Giannini (2023) ha quindi messo in campo l’intrigante ipotesi di riconoscere l’anonimo pittore in Francesco del Fiore (doc. dal 1376 al 1409), padre di Jacobello.42
A fianco dell’Incoronazione della Vergine di Venezia-Trieste, l’opera più prossima a quella della Galleria Estense è, come asserito da Irene Samassa (2011), la Sant’Anna Metterza e santi di Firenze, di cui sono condivise la definizione grafica dei connotati fisiognomici e le anatomie larghe e bombate. In essa la moda femminile, caratterizzata da vesti strette sotto il seno e capigliature a lunghe trecce disposte a cercine sopra la fronte, riconduce nuovamente agli anni finali del Trecento. Con il diverso scorcio dell’avello in cui emerge Gesù, visto in modo più corretto nel dipinto in predicato e nel succitato trittico veneziano del Maestro della Madonna di Giovanelli, con la ripida proiezione verso l’alto del prato fiorito ove è assisa la Vergine, il trittichetto di Boston appare precedente, mentre segue, ormai nei primi anni del Quattrocento, l’altro trittichetto oggi a Pavia, in cui una nuova libertà di movimenti, caratterizzazioni meno ispide che cedono il passo a un’atmosfera più carezzevole sono intonate alla poetica di Jacobello del Fiore e aprono la via al tardogotico lagunare.43
STORIA CONSERVATIVA
Storia conservativa e restauri documentati
Storia conservativa e restauri documentati
Non vi sono attestazioni circa i restauri cui il dipinto poté essere sottoposto dopo il suo ingresso in Galleria. Pallucchini (1945) ne osserva le non buone condizioni, rilevando il peculiare incurvamento del supporto. La fotografia edita nel suo catalogo mostra come tale situazione apparisse all’epoca meno pronunciata, per quanto attiene allo scomparto centrale, in cui già si notano gli interstizi lungo la sezione inferiore della cornice, meno ampi rispetto al presente (cfr. Tecnica di esecuzione e stato di conservazione): un processo di progressivo imbarcamento si è quindi svolto nei decenni intermedi. Sono altresì visibili le mancanze nelle terminazioni apicali delle cornici e altre particolarità: un foro circolare situato nella parte bassa del manto di Maria, la possibile presenza di un piccolo sigillo in ceralacca nell’angolo inferiore destro del medesimo pannello e alcune lacune nella cornicetta che inquadra, sul lato sinistro, la figura di san Giacomo maggiore e in basso quella della Maddalena. Il trittico ha evidentemente subito un intervento in tempi successivi, in quanto le due mancanze risultano oggi completamente risarcite e la traccia del sigillo è scomparsa. Per il resto le condizioni della pittura non sembrano essere variate in maniera sostanziale, pur evidenziandosi nel precedente stato una maggiore estensione delle dorature a missione sulla veste rossa di santa Maria Maddalena. A un intervento abbastanza recente, pure non documentato, si deve il sottile strato di vernice protettiva.
ALTRE SEZIONI
Storia espositiva
Storia espositiva
Il trittico è stato esposto in Galleria dalla fine del XIX secolo. Esso è incluso nelle guide di Ricci (1925) e Zocca (1933), nel catalogo di Pallucchini (1945), che lo giudica di mano di un pittore felsineo “strettamente influenzato da Giovanni da Bologna”, e nella successiva guida di Salvini (1955). In seguito l’opera è stata ritenuta piuttosto marginale nel contesto dei ‘primitivi’ della Galleria Estense, pertanto oggetto di due sole menzioni da parte di Ghidiglia Quintavalle (1967) e di Bietti (1987), la quale colloca l’opera nell’ambito della bottega di Jacobello del Fiore.44
Bibliografia
Bibliografia
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C. Guarnieri, “Per un corpus della pittura veneziana del Trecento al tempo di Lorenzo”, in Saggi e Memorie di storia dell’arte, 30, 2006 [ma 2008], pp. 45, 46, fig. 108 [Maestro del polittico di Torre di Palme, opera tarda], https://www.jstor.org/stable/43140532
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van Os 1969 = H.W. van Os, Marias Demut und Verherrlichung in der sienesischen Malerei, 1300-1450, ‘s-Gravenhage 1969.
Williamson 2009 = B. Williamson, The Madonna of Humility. Development, Dissemination and Reception, c. 1340-1400, Woodbridge 2009.
Note
-
Non risultano infatti altre tavole del lascito Campori corrispondenti a tale succinta descrizione. ↩︎
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Per la possibile presenza di un sigillo in ceralacca, rimosso dopo il 1945, cfr. Storia conservativa e restauri documentati. ↩︎
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Si vedano, nello specifico, Coccato 2018, pp. 159-160; Valenzano 2018, pp. 26-30. Sulla funzione e la tipologia dei dipinti devozionali nella Venezia del Trecento e del primo Quattrocento, si vedano Guarnieri 2018; Baradel 2018. ↩︎
-
De Marchi 1995, p. 255 nota 53. ↩︎
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Il supporto non reca nondimeno tracce di elementi per l’aggancio a una parete. ↩︎
-
Cfr. Gordon 2011, pp. 305-313. ↩︎
-
Cfr. Boskovits 1990, pp. 120-125 n. 19; Guarnieri 2006a, pp. 216-217 n. 47. ↩︎
-
È plausibile che dalla bottega di Lorenzo Veneziano sia uscito almeno un esemplare di trittichetto ad ante mobili con l’immagine della Madonna dell’umiltà, del quale non abbiamo al momento conoscenza. ↩︎
-
Su questi dipinti, cfr. Hendy 1974, pp. 274-276; A. Montani, in La Pinacoteca Malaspina 2011, pp. 294-295, sebbene entrambi i cataloghi non recepiscano l’attribuzione al Maestro del polittico di Torre di Palme. Per tipologia del manufatto e iconografia si può anche ricordare il trittichetto frammentario del Museo Civico di Palazzo Chiericati a Vicenza, avvicinato ai modi del pittore da Pallucchini 1964, p. 213; cfr. C. Rigoni, in Pinacoteca Civica 2003, pp. 107-108 n. 3; Guarnieri 2006b, p. 35 (per l’attribuzione a Guglielmo Veneziano). ↩︎
-
Bologna, Fondazione Federico Zeri, inv. 26475, scheda n. 5221: Madonna dell’umiltà, la Crocifissione, i santi Giovanni Battista, Nicola da Bari (?), Andrea e Antonio abate; misure sconosciute. Lo studioso inserì invece la fotografia del trittichetto di Modena nel fascicolo del Maestro del trittico di Venezia (alias Maestro della Madonna Giovanelli): inv. 26477, scheda n. 5223. ↩︎
-
L’attribuzione al maestro spetta a De Marchi 1995, p. 255 nota 53. Cfr. la scheda in www.brooklynmuseum.org/opencollection/objects/4699 (consultata nel settembre 2023), ove l’opera è riferita a Guglielmo Veneziano. Per un altro frammentario esempio uscito dalla bottega del Maestro del polittico di Torre di Palme si veda la nota 28. ↩︎
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Per le informazioni fornite in questa sezione, cfr. la scheda tecnica di V. Ponza e A. Gatti, Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale (2023). Ringrazio Anna Lucia Margari, funzionario restauratore e conservatore della Galleria Estense, per ulteriori ragguagli sulla tecnica e le condizioni del supporto. ↩︎
-
Il dipinto è quindi nato con questa forma a giudizio di De Marchi 1995, p. 255 nota 53, mentre le attuali condizioni sono il frutto di un’accentuata deformazione del legno a parere di Schmidt 2005, p. 67 nota 49. ↩︎
-
Il trittico del Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Lorenzo Veneziano (cfr. nota 7) mostra un certo imbarcamento dello scomparto centrale, ma non così marcato, e sono si sono prodotte alcune spaccature nella cornice. Una peculiare curvatura caratterizza anche la tavoletta raffigurante San Giovanni evangelista (Firenze, collezione privata) di Paolo Veneziano, per la quale Cristina Guarnieri (2018, p. 55) ipotizza una funzione analoga all’altarolo della Galleria Estense, ossia l’antico addossamento a una colonna. ↩︎
-
Un punzone simile si ritrova a date più avanzate in Zanino di Pietro e nel Maestro del dossale Correr (Buttus 2014, p. 196 nn. 27-27a). ↩︎
-
Samassa 2014, pp. 129, 131, 133, 136-138, 140. ↩︎
-
Ivi, p. 144. ↩︎
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Questi ultimi, restituiti al pittore da Pallucchini 1964, pp. 212-213, sono stati associati alla configurazione del polittico di Torre di Palme da De Marchi 1995, p. 255 nota 53. Di recente riemersi sul mercato antiquario (Prato, Farsetti Arte, 21 aprile 2023, lotto 134), sono stati acquisiti dalla Fondazione Giulini Giannotti di Milano (cfr. Giannini 2023, p. 26). ↩︎
-
Il punzone compare in seguito, con varianti, in Jacobello del Fiore e nel Maestro di Roncaiette (Buttus 2004, p. 281, figg. 9-10; Ead. 2014, p. 197 n. 41, figg. 1, 53). ↩︎
-
Per gli effetti più semplificati che manifesta, in merito ai punzoni, la tavola del lascito Corsi presso il Museo Bardini a Firenze, cfr. I. Samassa, in La Collezione Corsi 2011, p. 222. ↩︎
-
Per le procedure esecutive che riguardano Paolo e Lorenzo Veneziano, cfr. Salvador 2014, pp. 111-117; Samassa 2014, pp. 148-151; e, per un panorama sulle decorazioni dei tessuti nei dipinti del Trecento veneziano, Hoeniger 1992. ↩︎
-
Guarnieri 1998; Ead. 2006a, pp. 178-179 n. 6, 183-185 nn. 11-12, 192-193 n. 21, 202-204 n. 33, 207 n. 37; Lorenzo Veneziano 2011. ↩︎
-
Ossia quella della chiesa di Santa Maria Maggiore a Trieste e l’altra al centro del polittico del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce (cfr. nota 22). Nei dipinti della chiesa di Sant’Anastasia a Verona e della National Gallery di Londra il prato non è fiorito. ↩︎
-
Meiss 1936, p. 448; van Os 1969, pp. 129-130; Williamson 2009, pp. 150-152. ↩︎
-
A. De Marchi, in Altomani 2004 2004, pp. 15-21 n. 1; cfr. A. Marchi, in L’aquila e il leone 2006, pp. 98-99 n. 5. La tavola è stata trasferita da Guarnieri 2006b, pp. 47, 48, nel catalogo del Maestro di Cordovado, ma ritengo più stringente il riferimento al Maestro del polittico di Torre di Palme, in una fase ormai presaga – nel volto di Maria – di Jacobello del Fiore. ↩︎
-
La Madonna dell’umiltà già nella collezione van Gelder a Bruxelles e quindi alla Staatsgalerie di Stoccarda è stata assegnata allo stesso Maestro del polittico di Torre di Palme (Bologna 1952, p. 18), quindi a Jacobello del Fiore (Berenson 1957, I, p. 93), al quale è oggi prevalentemente riferita. Per il dipinto della collezione Pittas, cfr. Casu 2011, pp. 80-85. ↩︎
-
Guarnieri 2006a, pp. 178-179 n. 6. ↩︎
-
Di ciò offre altra testimonianza una tavola, in origine elemento centrale di un trittichetto portatile, già presso la Galleria Tornabuoni a Firenze, riferita dapprima a Giovanni da Bologna (Dipinti 2009, pp. 10-11, su indicazione di M. Lucco; cfr. nota 35) e in seguito al Maestro del polittico di Torre di Palme (Guarnieri 2018, pp. 55-56 nota 56). Il dipinto mostra nella carpenteria elementi analoghi a quelli che distinguono l’altarolo di Modena. L’Imago pietatis sormonta la Madonna dell’umiltà in altre opere veneziane a cavallo fra XIV e XV secolo (Maestro della Madonna Giovanelli, Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 239; Maestro della Madonna del parto (?), Mosca, Museo Puškin, inv. 1502). ↩︎
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A differenza del trittico di Boston e di quello in esame, nei dipinti della Pinacoteca Malaspina, del Museo Bardini e del Brooklyn Museum i santi sono altresì corredati di iscrizioni esplicative. ↩︎
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Coccato 2018, pp. 151-152, per i testamenti di Antonio Dolfin (1376) e Alvise Bembo (1395). ↩︎
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Baradel 2018, pp. 187-189; Ead. 2019, passim. ↩︎
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L’associazione, a specchio come in questo caso, tra san Giovanni Battista e san Giacomo si ritrova, in tempi di poco anteriori, in un’inedita coppia di sportelli di trittico (Legnano, Galleria Romigioli), pertinenti all’attività del Maestro di Teplice. ↩︎
-
Testi 1909, pp. 133-134; Markham Schulz 2018, pp. 211-212. ↩︎
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De Marchi 1997, p. 6, osserva, tuttavia, che risultati come quello di Modena pongono il possibile Pietro di Nicolò in linea più con Jacobello del Fiore che con Nicolò di Pietro. Lo studioso (ivi, p. 16 nota 18) candida come personalità alternativa il meno conosciuto Bartolomeo di Paolo, documentato a Venezia dal 1389 e noto per aver dipinto il paliotto del Corpus Domini (Venezia, Museo Correr) intagliato da Catarino Veneziano prima del 1412. ↩︎
-
Secondo quanto riporta la scheda edita in Dipinti 2009, pp. 10-11, lo studioso non esclude che l’attività dell’artista costituisca la parabola finale dell’operato di Giovanni da Bologna. ↩︎
-
Per l’ampliamento del catalogo del pittore, con vari dipinti citati nel proseguo del testo, si vedano De Marchi 1987, p. 61 nota 37; Lucco 1989; De Marchi 1995, pp. 255-256 nota 53; Id. 1997, p. 6; A. De Marchi, in Fioritura tardogotica 1998, pp. 79-80 n. 9. Cfr. altresì il profilo steso da Guarnieri 2006b, pp. 17-18, 44-46. La Madonna di Perugia ricompare sotto il nome di Guglielmo Veneziano in Garibaldi 2015, p. 282 n. 96, e più di recente in Becchis 2022. ↩︎
-
Essa è stata riferita al Maestro degli altaroli, ossia al Maestro del polittico di Torre di Palme, da Bologna 1952, p. 9. ↩︎
-
Sulle confluenze tra le opere assegnate all’anonimo maestro e Jacobello del Fiore la critica si è pronunciata in varie occasioni: Bologna 1952, p. 10; G.G. Vedovello, in Pavia 1981, p. 157; M. Bietti, in La Galleria Estense 1987, p. 47; De Marchi 1987, p. 33; Guarnieri 2006b, pp. 17-18, 45; A. Montani, in La Pinacoteca Malaspina 2011, pp. 294-295; Giannini 2023, pp. 33-35. Coletti 1953, p. X, aveva assegnato l’altarolo di Pavia allo stesso Jacobello. ↩︎
-
Minardi 2006, p. 23 nota 35; Benati 2007, p. 58; Anselmi 2014, pp. 240-241. ↩︎
-
Sul parallelismo tra la fase avanzata del Maestro del polittico di Torre di Palme e il Maestro della Madonna Giovanelli, cfr. altresì A. De Marchi, in Altomani 2004 2004, p. 20; Guarnieri 2006b, p. 17. ↩︎
-
Benati 2007; Anselmi 2014; Giannini 2023, p. 32. ↩︎
-
Per una sintesi delle poche testimonianze documentarie che riguardano il pittore, già identificato nel Maestro della Madonna Giovanelli, si vedano Guarnieri 2006b, p. 45; Giannini 2023, pp. 32-33. ↩︎
-
La Crocifissione del trittico pavese è quindi direttamente accostabile a quella che sormonta l’altarolo nel Nationalmuseum di Stoccolma di Jacobello, databile nei primissimi anni del Quattrocento. ↩︎
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Per altri versi questo scarso interesse si evince dalla mancata citazione dell’opera nel saggio di Bentini (1996, speciatim p. 307, per i dipinti ex Campori) dedicato alla pittura veneta nel collezionismo estense di Modena. ↩︎