INTRODUZIONE
Opera firmata dal bolognese Simone di Filippo, la tavola è entrata poco prima della metà del XIX secolo nelle collezioni estensi, ma non è nota la sua destinazione antica. Priva della cornice che ricopriva buona parte delle zone coperte da un pigmento blu, essa probabilmente costituiva in origine il pannello centrale di un polittico smembrato, al quale non è al momento possibile aggregare altri scomparti.
Sul piano iconografico l’opera rappresenta un unicum nel corpus del pittore, in virtù della presenza di due angeli musicanti in primo piano, che suonano una viella e un liuto. Le influenze veneziane, dovute ai contatti figurativi tra il capoluogo emiliano e quello veneto, così come alla presenza a Bologna di polittici eseguiti in laguna, si palesano nel coro di angeli che circonda la Madonna con il Bambino, nonché nel tipo di ornati dei tessuti. Sul versante propriamente stilistico, emergono le componenti spiccatamente bolognesi del linguaggio di Simone, derivate in primo luogo dalla lezione di Vitale da Bologna. La posa avvitata del piccolo Gesù, il gesto quasi irriverente con cui egli agguanta la guancia di un angelo, la marcata cifra fisiognomica delle altre figure sono indice della franchezza e della libertà espressiva che avevano conosciuto il loro apice nel grande maestro del Trecento felsineo. Rispetto a quest’ultimo, esse vengono qui declinate in un tono più accostante, confacente alle intenzioni devozionali e di schietta comunicatività di cui Simone fu abile divulgatore. Tuttavia, come testimonia la Madonna della Galleria Estense, egli non eluse l’esigenza di rinnovarsi con alcune felici e briose invenzioni.
Il dipinto è stato oggetto di svariate proposte in merito alla datazione, tenuto conto di una certa omogeneità che, nell’arco di quasi mezzo secolo di operosità, distingue il linguaggio di Simone dei Crocifissi, unita all’esistenza di poche opere di cronologia certa. Esso pare nondimeno iscriversi in un momento specifico del percorso dell’artista emiliano, tra la Madonna con il Bambino in trono, angeli e il donatore Giovanni da Piacenza (Bologna, Pinacoteca Nazionale), eseguita verso il 1378, e l’Incoronazione della Vergine (Bologna, Fondazione Lercaro) siglata nel 1382.
STORIA E ICONOGRAFIA
Storia dell’opera
Provenienza
Modena, Palazzo Ducale, ante 1846; Modena, Galleria Estense in Palazzo Ducale (Castellani Tarabini 1854, p. 12 n. 24); Modena, Galleria Estense in Palazzo dei Musei, dal 1894.
Come riferito da Ferdinando Castellani Tarabini, la tavola fece il suo ingresso nelle collezioni modenesi al tempo di Francesco IV d’Austria-Este e, secondo quanto specifica trent’anni più tardi Adolfo Venturi, si tratta di una tra le ultime acquisizioni del sovrano, deceduto nel 1846.1 Alcuni decenni prima il duca aveva disposto l’invio dalla collezione Obizzi presso il castello del Catajo (della quale era entrato in possesso) di una serie di dipinti, tra i quali figuravano alcune opere del XV secolo,2 segno di un interesse rivolto nei confronti della pittura anteriore al 1500. Per quanto concerne quella in predicato, si tratta di un esempio abbastanza raro di ‘primitivo’ incamerato prima della metà del secolo: non sono tuttavia noti né l’identità del venditore né il luogo di provenienza.
Funzione originaria
In virtù del formato, delle dimensioni e dell’iconografia è plausibile che il dipinto costituisse in origine lo scomparto principale di un polittico, di cui si ignorano la destinazione iniziale e le vicende successive, nonché le connessioni con altri elementi appartenenti al medesimo complesso. A paragone delle misure dei pannelli centrali del polittico inv. 254 della Pinacoteca Nazionale di Bologna (ca. 80 x 60 cm) e di quello inv. 298 della stessa sede (ca. 84 x 42 cm) si registra una maggiore estensione, che caratterizza altre tavole per le quali si può inferire una medesima funzione: tra queste l’Incoronazione della Vergine (1382) già nella chiesa di Santa Maria Incoronata a Bologna (oggi esposta presso la Fondazione Lercaro; Fig. 4), la quale, decurtata su ogni lato, misura 91 x 56 cm.3 La firma del pittore in primo piano è un ulteriore fattore in tal senso; Gianluca Del Monaco osserva, inoltre, come il gesto della mano destra del Bambino potrebbe essere indirizzato verso un eventuale donatore, ritratto in uno scomparto disperso o perduto, posto alla destra dell’osservatore (cfr. Iconografia).4
Tecnica di esecuzione e stato di conservazione
Il supporto consiste in un’unica asse lignea di pioppo con andamento delle fibre in senso verticale.5 La presenza diffusa di nodi e difetti, visibile sul lato tergale (Fig. 1), è indice della scarsa qualità del legno utilizzato. Il verso reca altresì traccia di vari interventi di risanamento strutturale che hanno interessato l’opera. L’evidenza di gallerie di tarli lungo gli spessori laterali lascia supporre che la tavola sia stata decurtata in queste parti, ma in tal caso non in maniera estesa, a giudicare dalla completezza della figurazione sul recto. Essa risulta altresì alquanto assottigliata e sul retro è applicata una parchettatura consistente in quattro barre metalliche disposte orizzontalmente lungo l’intera larghezza del supporto e trattenute da elementi lignei trapezoidali. Una fessurazione corre verticalmente al centro.
Sul recto lievi incisioni dello strato preparatorio delimitano il campo pittorico e il fondo dorato, realizzato con una tecnica a guazzo. La decorazione punzonata è estesamente scomparsa in corrispondenza delle aureole della Vergine e del Bambino, ove si segnalano varie lacune della lamina d’oro, che proseguono nello spazio superiore. Gli angeli presentano punzoni formati da un doppio binario di piccoli bolli entro cui si svolge una sequenza di rosette quadripetalate (ossia a quattro circoli, cui se ne aggiunge uno centrale).6 Nelle due creature più in alto si osservano i medesimi motivi, arricchiti esternamente da un ornato ad archetti con pendilium di tre bolli, che si rileva anche nell’aureola di Maria. Pur replicando lungo il perimetro il binario entro cui si allineano i fiori a quattro petali, quella di Gesù si completa nel campo interno con un motivo cruciforme colmato da rombi e circoli, nonché da motivi floreali a quattro petali, con bollo centrale, più ampi rispetto a quelli che distinguono gli angeli. Lo sfondo appare inoltre puntinato con la tecnica della granitura, di cui il pittore si è servito anche nella decorazione delle lettere, in gotica maiuscola, della lacunosa iscrizione che corre nel nimbo di Maria.7
L’opera è priva della cornice originaria, che ne copriva buona parte della metà superiore. In questa parte la superficie è caratterizzata da un’estesa stesura con un pigmento blu, in parte ritoccata e a tratti interessata da mancanze, che definisce una centina trilobata.
La pittura presenta una lacuna verticale in corrispondenza dell’angelo con la viella, insieme a due meno estese poste ai lati del piede destro del Bambino e della mano destra di Maria. Altre piccole cadute e fessurazioni (cui si associa qualche sollevamento del colore) sono state causate dal movimento del supporto e si osservano, tutte verticalmente orientate, al centro del manto di lei e nel cartiglio inferiore, ma anche in senso orizzontale in prossimità del bordo inferiore. Le decorazioni in oro del drappo d’onore risultano abrase. L’intensità del pigmento blu della veste della Madonna e di alcuni dettagli induce a ipotizzare l’impiego di lapislazzuli. Le condizioni possono considerarsi nell’insieme discrete.
Iconografia
Iconografia
La Vergine è assisa su un basso trono, collocato su un basamento il cui gradino, in primo piano, reca un cartiglio con la firma del pittore, e che avanza lateralmente in avanti per ospitare una coppia di angeli musicanti.8 La sagoma della seduta è definita da un drappo d’onore rosso, con risvolto celeste, uniformemente decorato con dischi contenenti motivi fitomorfi.9 Maria indossa una veste blu ornata con un motivo a foglia di vite, sotto un mantello bianco il cui decoro consta di una serie di palmette a forma di pera intorno alle quali si dipanano filamenti vegetali culminanti in grappoli d’uva che pendono verso il basso. Si tratta di un pattern di matrice veneziana, che Simone di Filippo utilizza con varianti più o meno complesse nella Madonna con il Bambino in trono, angeli e il donatore Giovanni da Piacenza (Bologna, Pinacoteca Nazionale; Fig. 3) e nell’Incoronazione della Vergine già in collezione Gozzadini a Bologna e successivamente in una raccolta torinese (Fig. 2).10 Il motivo della foglia di vite e quello del grappolo appaiono uniti, nella comune allusione alla Passione di Gesù, in altre due versioni del tema dell’Incoronazione della Vergine (Bologna, Fondazione Lercaro, Fig. 4; Périgueux, cattedrale di Saint-Front), di nuovo nel manto di Maria. La particolarità del manto niveo distingue le due tavole già a Torino e di Périgueux, in cui il tessuto è parimenti risvoltato in una tonalità rosso-arancio, nonché altre due Incoronazioni di Simone (Parigi, Galleria G. Sarti e Avignone, Musée du Petit Palais), ma nel catalogo di quest’ultimo essa costituisce un unicum in seno all’iconografia della Madonna con il Bambino in trono, come documenta la tavola della Galleria Estense.11 Il colore bianco si ritrova in altre opere a tema mariano del Trecento e del primo Quattrocento felsineo, di varia committenza.12 La peculiarità, nel caso in esame, potrebbe collegarsi a un ordine come quello camaldolese o cistercense, ma non risulta che Simone dei Crocifissi abbia specificatamente operato per queste famiglie monastiche, mentre appare più plausibile che essa veicoli, al pari di numerosi esempi, la purezza e la natura immacolata di Maria. Inconsueto, addirittura stravagante, se non giustificabile negli umori più veraci della pittura trecentesca bolognese, come già opinato da Roberto Longhi,13 è anche il gesto di Gesù proteso verso un impassibile angelo, del quale egli afferra saldamente una guancia, mentre getta uno sguardo obliquo verso la madre e con l’altra mano volge altrove l’attenzione di lei.14
Delle dieci figure angeliche che circondano il gruppo sacro due in primo piano, distinti da stole incrociate sul petto15 e coroncine di fiori sul capo, suonano altrettanti instruments bas, ossia una violetta medievale, altrimenti nota come viella (dal francese vièle) nell’italiano moderno, e un liutino, spesso fra loro abbinati nelle raffigurazioni fra Tre e primo Quattrocento.16 Si tratta nuovamente di un’interessante, significativa eccezione nel corpus del pittore, ove non si conoscono, neppure in quei soggetti quali l’Incoronazione di Maria in cui solitamente si registra la loro presenza,17 angeli musicanti. Questi, talvolta a fianco di altri angeli che reggono il drappo d’onore, compaiono più di frequente a fianco della Madonna col Bambino in trono nella pittura del secondo Trecento a Firenze18 e a Venezia,19 mentre un coevo, piuttosto isolato esempio a Bologna è rappresentato dall’affresco di Giovanni di Ottonello staccato dal portico della chiesa di San Giacomo Maggiore (oggi conservato presso la Pinacoteca Nazionale).20 Tale singolarità, entro la produzione dell’artista, potrebbe essere indicativa della committenza o del luogo per il quale l’opera era inizialmente destinata.
Attribuzione, commento critico e datazione
Attribuzione, commento critico e datazione
Pochi anni dopo la sua acquisizione il dipinto è menzionato da Castellani Tarabini (1854) come opera di Simone Avanzi da Bologna, sulla base dell’errata convinzione, perdurata sino agli inizi del Novecento, circa la parentela del pittore con Jacopo Avanzi.21 La firma, che ricorre con la medesima formulazione in vari altri esiti di Simone,22 ha da sempre consentito di fugare ogni dubbio intorno alla paternità, sicché il dibattito critico si è per lo più incentrato sul timbro qualitativo e sulla collocazione della tavola nel percorso dell’artista, in un arco temporale che va dal periodo giovanile (Quintavalle 1937-1938, 1939) alla tarda attività (Benati 1999). Per Adolfo Venturi (1907) essa non smentisce “la triste meschinità” del linguaggio del maestro; Evelyn Sandberg Vavalà (1930), che ne diede la prima riproduzione a stampa, la pose tra i “lavori modesti ma piacenti”, Wart Arslan (1937) nel novero delle “opere stereotipate e mediocri”, mentre Roberto Longhi (1934-1935) ne apprezzò “una certa rustica devozione”. Luigi Coletti (1947) e Augusta Ghidiglia Quintavalle (1959) non vi disconobbero riflessi dell’arte di Tommaso da Modena.
Una componente essenziale del curriculum figurativo di Simone di Filippo, messa in rilievo dagli studi degli ultimi decenni, è la ricezione della cultura veneziana, su un piano che investe sia i caratteri iconografici sia quelli tipologici e formali,23 con modalità di cui la tavola qui discussa offre ulteriore conferma. L’assiepato coro di angeli che sorregge il drappo d’onore e incornicia il gruppo principale, con le testine che progressivamente scompaiono verso il fondo, ha tale origine:24 un precedente è già in Paolo Veneziano,25 ma Simone si sarà principalmente confrontato con la produzione di Lorenzo Veneziano e dei suoi affiliati, in cui tale elemento compare in prevalenza nel tema dell’Incoronazione della Vergine, più raramente nella Madonna in trono, come denotano la tavola del San Diego Museum of Art dello stesso Lorenzo e, tra le scarse sopravvivenze nel tardo Trecento, quella di Nicolò di Pietro delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (1394).26 Simili relazioni erano d’altronde favorite dalla presenza di importanti polittici realizzati dai due maggiori esponenti del Trecento lagunare per il capoluogo emiliano, in particolare per la chiesa di San Giacomo Maggiore, ove lo stesso Simone ebbe modo di operare.27
Accanto alle suggestioni venete vi è il fondamentale retaggio della pittura vitalesca, su cui il maestro felsineo aveva svolto la propria formazione, avviando una propria carriera autonoma a partire almeno dalla metà del secolo e che si sarebbe protratta sino a poco prima della morte nel 1399. Pur senza giungere all’effetto quasi disarticolato visibile nella tavola di Vitale conservata presso il Museo Civico di Viterbo, la torsione del corpo del piccolo Gesù si rifà a tale ordine di idee e ritorna nel trittichetto del Blanton Museum of Art di Austin, mentre la posa sgambettante è quella che connota la Madonna con il Bambino del Museo di Santo Stefano a Bologna, cronologicamente prossima a quella in predicato. La già menzionata Madonna con il Bambino in trono adorata da Giovanni da Piacenza (Fig. 3), databile intorno al 1378, ci offre un utile aggancio per le morfologie anatomiche dei personaggi, sebbene esse appaiano lì più espanse e massive, in un cosciente recupero della volumetria di stampo giottesco, e per le pieghettature a squadri geometrici del manto di Maria, che risultano similmente ombreggiate al fine di conferire loro un senso di verosimile rilievo. Rivediamo questo secondo aspetto nell’arcangelo dell’Annunciazione del Museo Puškin di Mosca, di cui Viktorija Markova (1978) e Robert Gibbs (1978) hanno evidenziato la vicinanza con le creature angeliche di Modena, evidente specialmente a confronto con quella che impugna la viella. Una gestazione in tempi accosti riguarda il trittico delle Gallerie Nazionali di Arte Antica in Palazzo Barberini e quello già in una collezione privata milanese, come notato da Del Monaco (2018), che situa la Madonna in predicato nella seconda metà degli anni settanta. Si tratta di opere che traghettano la solida monumentalità della tavola realizzata a suffragio dell’anima di Giovanni da Piacenza verso la più morbida tenerezza di modellato dell’Incoronazione della Vergine datata 1382 (Bologna, Fondazione Lercaro; Fig. 4), con la quale già Longhi (1934-1935) confrontava il dipinto della Galleria Estense. Tutto ciò, pertanto, suggerisce per quest’ultimo un’esecuzione non lontana dal 1380.
STORIA CONSERVATIVA
Storia conservativa e restauri documentati
Storia conservativa e restauri documentati
1894
Sidonio Centenari
ca. 1940-1945
Mauro Pelliccioli
1979
Sergio Zamboni e Avio Melloni
È probabile che il dipinto sia pervenuto alle collezioni estensi in condizioni già disagiate. Crowe e Cavalcaselle (1864) lo definiscono infatti “much damaged by restoring” e più oltre (1887) riferiscono come “la pittura mostra le note qualità e la rozza esecuzione delle altre [opere del pittore], ma ha molto sofferto per pulitura e restauro, ed il fondo già dorato è di tinta scura”. Il primo restauro documentato, finalizzato al consolidamento del colore, si deve a Sidonio Centenari (1894) ed un secondo, che Pallucchini (1945) menziona come recente, a Mauro Pelliccioli. Ciò non impedisce allo studioso di evidenziare, in una situazione registrata come “mediocre”, la presenza di ridipinture, sollevamenti del colore e restauri. La precedente fotografia Croci (neg. 3611, ante 1931) mostra come il fondo fosse interessato da un’uniforme ridipintura, che seguiva le sagome dei nimbi degli angeli e disegnava una falsa centina ad arco a tutto sesto, abbellita da foglie lanceolate nei pennacchi.28 La stessa immagine, da cui tuttavia si desume una più che discreta leggibilità delle figure, documenta la presenza di una cornice probabilmente ottocentesca. Lo stato nei decenni seguenti può ricavarsi dal dettaglio fotografico edito nel volume di Ghidiglia Quintavalle (1959). Nel 1979 si giunse a un nuovo intervento: la documentazione fotografica realizzata in tale circostanza rivela come il retro del supporto, in ampia parte coperto di uno strato di colore bianco, avesse un sistema di contenimento formato da tre traverse lignee, fissate con chiodi. Nell’occasione questa struttura venne sostituita con quella tuttora esistente (cfr. Tecnica di esecuzione e stato di conservazione), furono risanati i difetti del legno, rimuovendo i nodi e sostituendoli con tasselli lignei circolari, e risarcite alcune piccole mancanze del supporto, localizzate lungo i bordi. Per quanto concerne il recto, si è contestualmente proceduto all’asportazione delle ridipinture, che avevano riguardato sia la figurazione sia il fondo oro con le decorazioni punzonate (come riportato, relativamente a questo secondo aspetto, da Lodi 1981). Le lacune, trattate con un colore neutro, sono state lasciate a vista, come oggi visibile.
ALTRE SEZIONI
Storia espositiva
Storia espositiva
Non risulta che la tavola abbia abbandonato le sale della Galleria dal tempo della sua acquisizione. Viene infatti menzionata da Castellani Tarabini (1854) quale prova di come Simone “eguagliasse […] Giotto”, nel volume di Venturi (1882), nelle guide di Ricci (1925), Zocca (1933) e Salvini (1955), nonché soprattutto nel catalogo di Pallucchini (1945). Nel 1950 essa venne convocata alla mostra sulla pittura bolognese del Trecento (cfr. Mostre), probabilmente su suggerimento di Longhi, che nella prefazione al catalogo la pone tra le opere in cui si evince “qualche non raro ritorno di fiamma, qualche bella cavata espressionistica”, di contro alla produzione di “mera industria” che coinvolse ampia parte dell’attività di Simone di Filippo. L’apprezzamento è ribadito nel 1959 da Ghidiglia Quintavalle (“quel suggestivo mescolarsi di auree raffinatezze nei veli e nei broccati e di rustica vitalità nei volti”). Citata anche nel successivo volume della stessa studiosa del 1967, la Madonna ricompare nella guida curata da Bentini (La Galleria Estense 1987) quale testimonianza dell’adesione a Vitale, nondimeno sempre più aperta alle influenze venete: salvo un cenno in quella più recente curata da Casciu (2015), essa costituisce l’ultima pubblicazione, tra quelle della Galleria, che dà voce al dipinto del maestro bolognese.
Mostre
Mostre
Mostra della pittura bolognese del Trecento
Bologna, Pinacoteca Nazionale
Maggio - luglio 1950
Bibliografia
Bibliografia
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Guida alla mostra della pittura bolognese del Trecento, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, maggio - luglio 1950), Bologna 1950, p. 32 n. 76.
R. Longhi, “Prefazione”, in Guida alla mostra della pittura bolognese del Trecento, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, maggio-luglio 1950), Bologna 1950, riedita in Lavori in Valpadana dal Trecento al primo Cinquecento, 1934-1964, Firenze 1973, p. 163.
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W. Arslan, “Cristoforo da Bologna”, in Rivista d’arte, XIX, 1937, p. 101 nota 1.
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E. Sandberg Vavalà, “Vitale delle Madonne e Simone dei Crocifissi”, in Rivista d’arte, XII, 1930, pp. 30, 33, 34, fig. 39 [pubblica l’opera per la prima volta].
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Bibliografia citata
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Longhi 1934-1935, ed. 1973 = R. Longhi, “La pittura del Trecento nell’Italia settentrionale”, lezioni universitarie, a.a. 1934-1935, edite in Lavori in Valpadana dal Trecento al primo Cinquecento, 1934-1964, Firenze 1973, pp. 3-90.
Pallucchini 1964 = R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964.
Pedrocco 2003 = F. Pedrocco, Paolo Veneziano, Milano 2003.
Pinacoteca Nazionale 2004 = Pinacoteca Nazionale di Bologna. 1. Dal Duecento a Francesco Francia, a cura di J. Bentini, G. P. Cammarota, D. Scaglietti Kelescian, Venezia 2004.
Soldani 2016 = A. Soldani, “Iconografia musicale in Giovanni dal Ponte”, in Giovanni dal Ponte, protagonista dell’Umanesimo tardogotico fiorentino, catalogo della mostra (Firenze, Galleria dell’Accademia, 22 novembre 2016 - 12 marzo 2017) a cura di A. Tartuferi e L. Sbaraglio, Firenze 2016, pp. 63-69, https://www.academia.edu/36567956/Giovanni_dal_Ponte_Protagonista_dell_Umanesimo_tardogotico_catalogo_della_mostra_Firenze_Galleria_dell_Accademia_22_novembre_2016_12_marzo_2017_a_cura_di_L_Sbaraglio_e_A_Tartuferi_Firenze_2016
Venturi 1882 = A. Venturi, La R. Galleria Estense in Modena, Modena 1882, https://archive.org/details/laregiagalleriae00vent
C. Villers, R. Gibbs, R. Hellen, A. King, “Simone dei Crocifissi’s ‘Dream of the Virgin’ in the Society of Antiquaries, London”, in The Burlington Magazine, CXLII, 2000, pp. 481-486, https://www.jstor.org/stable/888854
Note
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Venturi 1882, p. 441. Il dipinto non appare infatti menzionato nell’inventario edito da Baracchi (1995), ultimato nel 1833 (Dugoni 2007, p. 84 nota 31): non dovrebbe infatti trattarsi, data la firma, nonché il diverso ambito figurativo e cronologico, della “Tavola su cui la Vergine assisa in trono col Bambino e due angeli che suonano. Di Luca di Leyden” (Baracchi 1995, p. 385 n. 191), che, come mi segnala Marcello Toffanello (comunicazione scritta, ottobre 2023), è riconoscibile in quella del Maestro della Leggenda di Santa Lucia (inv. R.C.G.E. 162; Castellani Tarabini 1854, p. 88 n. 320). In un secondo e precedente inventario (ca. 1815-1816), reso noto dalla stessa studiosa (Baracchi 1995-1996, p. 268 n. 43), si specifica la presenza di “Una Madonna col Bambino mezzo coperto da un panno lino, in tavola”, le cui misure (braccia 1,11 x 1,5 = ca. 58 x 52 cm) non corrispondono all’opera in esame. ↩︎
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Dugoni 2007. ↩︎
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Su questi dipinti, cfr. Del Monaco 2018, pp. 107-108 n. 11, 149-156 nn. 33-34. ↩︎
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Ivi, p. 195 n. 64. ↩︎
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Per le informazioni fornite in questa sezione, cfr. la scheda tecnica di S. Aveni e A. Gatti, Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale (2023). ↩︎
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Cfr. Lodi 1981, pp. 95-96. Questo punzone è menzionato altresì da Frinta 1972, p. 651 nota 7, in generica relazione a dipinti di ambito boemo e veneziano. ↩︎
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Per altri casi in cui Simone di Filippo utilizza la granitura nella decorazione del fondo dei nimbi ove emergono le iscrizioni, cfr. Lodi 1981, pp. 101, 105, 107. ↩︎
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Un arredo analogo, con la pedana che arretra al centro, lo scorcio degli elementi laterali e la collocazione della firma del pittore nello spessore del gradino, è nell’anconetta con la Madonna e Cristo in trono e santi (Bologna, Pinacoteca Nazionale), mentre nell’Incoronazione della Vergine della Pinacoteca Nazionale di Ferrara l’iscrizione corre sopra (cfr. Del Monaco 2018, pp. 137-138 n. 27, 167-168 n. 42). ↩︎
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Anche questa soluzione del postergale celato o sostituito dal drappo d’onore sorretto da un gruppo di angeli conta vari esempi nel catalogo di Simone di Filippo (ivi, tavv. XXVII, XLVII, LIV, XCIV). ↩︎
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Klesse 1967, p. 274 n. 170. Sul carattere veneziano di queste decorazioni: A. De Marchi, in Autour de Lorenzo Veneziano 2005, p. 120. ↩︎
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In Simone di Filippo tale particolarità ricompare nel contesto della diversa iconografia, meno diffusa, della Madonna in trono accanto a Cristo adulto, in un consesso di santi, ovvero nella tavoletta della Pinacoteca Nazionale di Bologna (su cui cfr. nota 8). ↩︎
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Cfr. F. Lollini, R. D’Amico, A. De Marchi, in Pinacoteca Nazionale 2004, pp. 126-128 n. 31c, 162-163 n. 50, 183-184 n. 63b, 194-195 n. 70, 214-216 n. 80. ↩︎
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Per lo studioso (1934-1935, ed. 1973, p. 65), infatti, qui Simone “escogita lo scherzo tra affettuoso e villano del Bambino che respinge con una ceffata il viso dell’angelo più vicino”. ↩︎
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Il movimento della mano di Gesù pare proteso verso l’angelo con il liuto, in maniera non molto diversa da quello visibile nella Madonna con il donatore Giovanni da Piacenza della Pinacoteca Nazionale di Bologna (Fig. 3) o nel trittichetto della Galleria Nazionale di Parma, mentre è indirizzato chiaramente verso un santo incluso in un differente scomparto nell’altro trittichetto del Blanton Museum of Art di Austin (su queste opere, cfr. Del Monaco 2018, pp. 90 n. 2, 144-146 n. 31, 208-209 n. 76). ↩︎
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Elemento che compare raramente nel catalogo di Simone (cfr. ivi, tavv. XXXIV, LXXX). ↩︎
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Cfr. Iconografia musicale 1984, passim; Soldani 2016, p. 64. ↩︎
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In Vitale da Bologna e nella pittura bolognese fra Trecento e Quattrocento gli angeli musicanti sono eliminati dalle raffigurazioni di questo soggetto, eccezion fatta per il polittico di Giovanni da Bologna già in San Marco (ora presso la Pinacoteca Nazionale): malgrado l’origine felsinea del suo autore, si tratta di un’opera veneziana per tipologia e stile, ed è proprio a Venezia che l’Incoronazione di Maria è incorniciata da angeli suonatori, da Paolo Veneziano (tavola della Frick Collection a New York, 1358) a Lorenzo – che in San Giacomo Maggiore a Bologna ne aveva inviato un esempio (oggi a Tours, Musée des Beaux-Arts), al centro di un polittico smembrato, commissionato nel 1368 – sino ai loro continuatori. ↩︎
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Per alcuni esempi, cfr. Fremantle 1975, figg. 516, 536, 671, 679-680, 685, 708; Cataloghi 2010, pp. 21-24. ↩︎
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Cfr. Pallucchini 1964, figg. 508, 524, 549-551, 578, 706. ↩︎
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Cfr. R. D’Amico, in Pinacoteca Nazionale 2004, pp. 124-125 n. 30d. ↩︎
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Il chiarimento circa l’equivoco si deve a Frati 1908-1909, p. 212. ↩︎
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Cfr. Del Monaco 2018, tavv. XXXVII, XLVIII, LVII, LXVIII, CVIII, CXXV. ↩︎
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A. De Marchi, in Autour de Lorenzo Veneziano 2005, pp. 118-121; Gibbs 1978, p. 238; Villers, Gibbs, Hellen, King 2000, p. 486; Del Monaco 2018, speciatim pp. 26, 43, 76-77, 85. ↩︎
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Per Del Monaco 2018, p. 64, si tratta diversamente di una consuetudine per lo più fiorentina. ↩︎
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Nella Madonna con il Bambino in trono e angeli (1340) della collezione Crespi a Milano (Pedrocco 2003, p. 166). ↩︎
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Cfr. nota 19. ↩︎
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Pedrocco 2003, pp. 184-187; De Marchi 2005, pp. 24-29, 37-41; C. Guarnieri, in Autour de Lorenzo Veneziano 2005, pp. 98-103; Del Monaco 2018, pp. 58-59, 93-95 n. 5. ↩︎
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Essa venne probabilmente rimossa nel restauro condotto dal Pelliccioli, in quanto non compare più nella fotografia inclusa nel catalogo di Pallucchini (1945, fig. 82). ↩︎