Michele da Firenze, Compianto sul Cristo morto
Fig. 1, Pittore ferrarese, Deposizione di Cristo nel sepolcro con santi francescani. Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Fig. 2, Cristoforo da Bologna, Deposizione (particolare). Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Fig. 3, Michele da Firenze, Altare delle statuine. Modena, Duomo. Foto 831 nel volume Il Duomo di Modena, Modena, 1999
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Cat. 23. Michele da Firenze, Compianto sul Cristo morto

Artista Michele di Nicolò di Dino, detto Michele da Firenze (ca. 1385 - 1457)
Titolo Compianto sul Cristo morto
Datazione ca. 1442-1443
Supporto Terracotta policroma
Dimensioni 140 x 55 x 68 cm
Collocazione Modena, Galleria Estense, Sala 4
Inventario s. n.
Iscrizioni E Timbri nessuno
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INTRODUZIONE

Scoperto a Modena nel 2006 nell’ex-monastero di San Geminiano, questo gruppo è probabilmente il più antico Compianto sul Cristo morto in terracotta dell’Italia settentrionale che ci sia pervenuto. Deposto dalla Croce, il corpo del Salvatore è accarezzato dalla Vergine mentre viene preparato per la sepoltura: Maria Maddalena ne sta asciugando il piede destro con i capelli mentre Nicodemo applica un unguento a quello sinistro. Oltre a Giuseppe d’Arimatea, alla scena assistono con gesti di dolore e di preghiera Maria di Cleofa, Salome e un’altra donna, tutte in abiti monacali.

L’autore delle sculture è Michele da Firenze, uno dei plasticatori tardogotici più prolifici della prima metà del Quattrocento. Dopo un primo periodo in Toscana, verso la metà del terzo decennio il fiorentino si trasferì a Ferrara, e fu poi attivo a Verona, Mantova, Modena e Pesaro, contribuendo così alla diffusione dello stile di Lorenzo Ghiberti a nord degli Appennini. Il Compianto evoca nello spazio della Galleria il capolavoro modenese dello scultore, la maestosa pala d’altare in terracotta realizzata per la cattedrale di San Geminiano tra il 1440 e il 1441: eseguito subito dopo, questo gruppo è l’ultima opera del fiorentino databile con sicurezza, ed è anche una delle poche che abbia conservato in parte la policromia originale.

STORIA E ICONOGRAFIA

Storia dell’opera

Storia dell’opera

Il Compianto è stato rinvenuto nel giugno del 2006 nel corso dei lavori di ristrutturazione dell’ex-monastero di San Geminiano a Modena: le sculture erano nascoste – forse dai tempi delle soppressioni napoleoniche – nello spazio di risulta tra le volte e il solaio del primo piano dell’ala occidentale dell’edificio. L’opera è giunta alla Galleria Estense dopo il restauro condotto presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze (2007-2009).

Sull’originaria collocazione del gruppo non si hanno notizie, ma non ci sono ragioni per ipotizzare una provenienza diversa da quella del complesso di San Geminiano, adibito da ospedale a convento di agostiniane con una bolla di papa Niccolò V nel 1448.1 È plausibile, anzi, che nella commissione dell’opera fosse coinvolto Ludovico Dal Forno, che ricoprì la carica di sindaco e massaro della confraternita dell’ospedale tra il 1443 e il 1444.2 Dal Forno fu anche amministratore della Fabbrica della cattedrale di Modena a partire dal 1439, ovvero negli anni in cui Michele da Firenze realizzò la monumentale pala in terracotta per l’altare maggiore del duomo (Fig. 3). Un ulteriore elemento a favore di questa ipotesi si ricava da un documento che purtroppo non è noto in originale: nel 1913 Giovanni Saccani diede notizia di un accordo steso a Reggio Emilia nell’agosto 1443 con cui Giroldo Fiordibelli commissionò a Marsilio – figlio e collaboratore di Michele – un Sepolcro, ovvero un’opera che si può immaginare simile al Compianto della Galleria; in quel momento Marsilio si trovava a Modena e la stima del suo compenso fu delegata a Ludovico Dal Forno, che evidentemente conosceva bene lo scultore e suo padre.3

Fig. 3, Michele da Firenze, Altare delle statuine. Modena, Duomo. Foto 831 nel volume Il Duomo di Modena, Modena, 1999

Tecnica di esecuzione e stato di conservazione

Tecnica di esecuzione e stato di conservazione

L’opera è eseguita in terracotta dipinta a freddo e dorata.4 Per come si presenta oggi, il gruppo è formato da tredici pezzi. Dopo aver modellato le otto figure nell’argilla, lo scultore le ha divise e ha tagliato il Cristo in cinque sezioni di lunghezza analoga (all’altezza del collo e poco sopra i polsi, le ginocchia e le caviglie), separando anche le estremità dei personaggi che toccano il corpo del giacente (la mano destra della prima figura da sinistra, entrambe le mani di quella adiacente, la mano sinistra del Nicodemo e gli avambracci della Maddalena). Eseguiti quando forse l’argilla si era asciugata troppo, i tagli hanno deformato il modellato, causando dei dislivelli accentuati poi dalla cottura. Le figure sono state svuotate sul retro e numerate con delle tacche.5 La riuscita mediocre della cottura – forse dovuta a un innalzamento troppo veloce della temperatura nella fornace – ha provocato diverse fratture (particolarmente nel Nicodemo, nella figura alla sua sinistra e nella Maddalena) e un viraggio non uniforme del colore dell’argilla: rosso in superficie, grigio scuro nelle parti interne.

Per rimediare a questi difetti e ovviare alla naturale porosità del materiale, lo scultore ha ricomposto i frammenti e suturato le fratture con uno strato di colla non uniforme e più stesure di olio di lino pigmentato con del minio.6 A eccezione degli incarnati e delle superfici pensate per la doratura, le parti destinate a ricevere il colore sono state poi preparate con un ulteriore strato di gesso e colla. La policromia è stata realizzata con una tempera miscelata con uovo o olio di lino.7 Per quanto riguarda i pigmenti, è stato individuato l’impiego dell’indaco (per il manto della Vergine e per quello della prima figura da sinistra), di vermiglione e minio per i rossi, terra verde e resinato di rame per i verdi e di bianco di piombo; quest’ultimo è stato utilizzato per gli incarnati pallidi del Cristo (miscelato al verde) e per quelli rosei di tutti gli altri personaggi (miscelato al rosso).8 Le dorature, che riguardano principalmente barbe e capelli (oltre all’aureola e al perizoma del Cristo e la pisside del Nicodemo), sono state realizzate a missione: la foglia d’oro è stata stesa su un adesivo ottenuto con olio, bianco di piombo e ocra (diversamente dal più consueto uso del bolo, specialmente nella pittura coeva). È stato osservato che un così ampio utilizzo dell’olio per la policromia è più tipico per la scultura lapidea, laddove per la terracotta è più comune l’impiego di gesso e colla animale.9

Oltre alla perdita integrale del San Giovanni che probabilmente completava il gruppo a sinistra, il Compianto presenta diverse lacune (integrate in parte dal restauro), tra le quali si segnalano: l’intera metà inferiore della prima figura da sinistra; la sezione superiore della testa e la parte sinistra del naso del Nicodemo; tutta la porzione di modellato lungo il taglio di cottura che divide le braccia della Maddalena; la parte anteriore della stessa figura nella metà inferiore; una porzione del letto del Cristo in corrispondenza del taglio di cottura sopra le ginocchia; le dita dei piedi della stessa figura. La policromia originale si è conservata solo in parte: le lacune maggiori riguardano i manti della Vergine e delle altre figure femminili.

Iconografia

Iconografia

Il gruppo rappresenta il momento successivo alla deposizione di Cristo dalla Croce, descritto con alcune varianti nei diversi Vangeli (Mt 27:57-61; Mr 15:42-47; Lu 23:50-56; Gio 19:38-42). A eccezione di san Giovanni – la cui figura è probabilmente perduta – gli otto personaggi canonici del Compianto (o Sepolcro) sono tutti presenti. Maria si distingue per la maggiore prossimità fisica al corpo del figlio (la mano destra è poggiata sul petto, la sinistra sfiora la ferita sul costato). Maria Maddalena, tradizionalmente identificata con la peccatrice che in casa del fariseo asciugò e unse i piedi di Cristo (Lc 7:37-38), ripete qui quel gesto nel contesto dell’imbalsamazione. Per quanto riguarda le altre figure femminili, due si possono identificare – ma senza ulteriori distinzioni – con Maria di Cleofa e Salome, mentre la presenza della terza si spiega probabilmente con le discordanti interpretazioni sul numero e sull’identità delle pie donne a cui possono dare adito le diverse versioni del racconto neotestamentario.10 Michele da Firenze aveva già rappresentato quattro personaggi femminili nel rilievo con la Deposizione nel Sepolcro della cappella Pellegrini in Sant’Anastasia a Verona, a sua volta forse ispirato dal monumento funebre di Gianesello da Folgaria nella stessa chiesa (un’opera dei cosiddetti Maestri caronesi della seconda metà del terzo decennio).11 Anche nella Deposizione Pellegrini le figure indossano un soggolo monacale, un dettaglio che a Modena si adattava particolarmente bene al contesto del convento delle agostiniane di San Geminiano e che ricorda raffigurazioni pittoriche come la Deposizione nel sepolcro della metà del Quattrocento proveniente dal monastero del Corpus Domini a Ferrara (Ferrara, Pinacoteca Nazionale, inv. 38; Fig. 1).

Fig. 1, Pittore ferrarese, Deposizione di Cristo nel sepolcro con santi francescani. Ferrara, Pinacoteca Nazionale.

Come di consueto per i Compianti, se l’identificazione dei due personaggi maschili con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea è sicura, la distinzione tra i due è quasi sempre opinabile, anche per via delle tradizioni testuali extra-bibliche.12 In questo caso, tuttavia, lo scultore ha caratterizzato uno dei due attori con una pisside per gli unguenti (un attributo raro nei Compianti) ed è quindi forse preferibile seguire il Vangelo di Giovanni (19:38-39): “Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea […] chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, e Pilato glielo permise […] Nicodemo […] venne anch’egli, portando una mistura di mirra e d’aloe di circa cento libbre”.13 Giuseppe d’Arimatea regge invece nella mano sinistra tre chiodi e nella destra la tenaglia con cui li ha estratti dal legno della Croce.14

Alcuni elementi fanno del Compianto modenese una rarità tipologica. Proprio il fatto che Nicodemo e Maria Maddalena siano colti nell’atto di asciugare e ungere i piedi di Cristo accentua la consueta ambiguità di significato dei mortori: i Vangeli, infatti, distinguono il momento dell’unzione (compiuta sull’eponima Pietra) da quello della deposizione nella tomba.15 Le sculture modenesi dovevano stare originariamente all’interno di una nicchia, che avrebbe richiamato – volutamente o meno – lo spazio del Santo Sepolcro, anche se l’opera è troppo piccola per le dimensioni di circa tre metri per due impiegate con chiaro intento evocativo in altri casi emiliani.16 Nel gruppo in esame, inoltre, il corpo esanime del Salvatore è steso su un piano rialzato di cui sopravvive solo la parte superiore: un sarcofago o un più generico parallelepipedo pensato per evocare il banco all’interno del Sepolcro su cui il corpo di Cristo fu deposto.17 Nella Deposizione veronese il fiorentino ha rappresentato Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea in piedi ai lati del gruppo, ovvero nell’atto di reggere il cadavere con un lenzuolo, secondo una tipologia attestata da centinaia di opere scolpite in tutta Europa tra Tre e Quattrocento.18 Nel gruppo modenese il sudario è assente, i due attori maschili sono ridotti a mezze figure ed è invece la Maddalena a occupare il primo piano, secondo lo schema tipico di quelle opere dipinte o scolpite in cui la Vergine tiene in grembo il corpo del figlio ed è assistita a destra dalla peccatrice e a sinistra da san Giovanni. D’accordo con questo schema, Michele ha raffigurato la madre mentre accarezza il corpo del figlio come in un Vesperbild e il discepolo prediletto – oggi perduto – doveva occupare una posizione speculare rispetto alla Maddalena. In pittura, un buon esempio per questo tipo di composizione è la piccola tavola con la Crocifissione e la Deposizione dipinta da Cristoforo da Bologna verso la fine del Trecento (Ferrara, Pinacoteca Nazionale, inv. 56; Fig. 2).

Fig. 2, Cristoforo da Bologna, Deposizione (particolare). Ferrara, Pinacoteca Nazionale.

Esistono molti Compianti del Quattro e Cinquecento che impiegano uno schema simile a quello adottato dal fiorentino: un esempio che Michele poteva conoscere è quello dell’altare Saraina in San Fermo Maggiore a Verona, opera dei Maestri caronesi della fine del terzo decennio (dove san Giovanni è assente ab origine).19 In tutti questi casi, tuttavia, si tratta di personaggi a piena figura e – come si è detto – Cristo è sorretto della Vergine, e non dal sarcofago: è come se Michele avesse adattato al formato più tipico delle Deposizioni nel sepolcro la gestualità di questi Compianti che hanno alla loro radice il Vesperbild. In questo senso, il gruppo di Modena si confronta meglio con quelli cronologicamente posteriori di Portogruaro (chiesa di Sant’Agnese), Alessandria (chiesa di Santa Maria di Castello) e Melegnano (chiesa dei Santi Pietro e Biagio).20

Attribuzione, commento critico e datazione

Attribuzione, commento critico e datazione

Dopo il ritrovamento, il Compianto è stato presentato al pubblico nel 2009 come opera di Michele da Firenze, un’attribuzione che ha incontrato il consenso unanime degli studi.21 Il gruppo, infatti, si lascia facilmente ricondurre all’attività dello scultore a Modena nel quinto decennio del Quattrocento, ben testimoniata da altre opere e dai documenti. Non ha senso attribuire un valore autoriale alla pur probabile collaborazione del figlio Marsilio – almeno allo stato attuale delle conoscenze.22

La datazione più cauta delle sculture coincide con la presenza accertata di Michele in città tra il novembre 1440 e l’agosto 1443, che si può estendere e silentio al massimo fino al giugno 1448, quando lo scultore è certamente a Pesaro.23 Anche se di poco, questo arco temporale si può restringere con ottimi argomenti: fino all’ottobre 1441 (nel migliore dei casi) Michele lavorò alla pala destinata all’altare maggiore della cattedrale di Modena; i documenti pesaresi, inoltre, citano un “magist(er) Michael(is) picto( r )” – quasi certamente il fiorentino – già nell’agosto del 1447; se poi si ipotizza che i lavori avviati qualche anno prima nella cappella maggiore della cattedrale di San Terenzio presuppongano un disegno dello scultore, allora il suo trasferimento a Pesaro andrà con ogni probabilità anticipato a prima del settembre 1444.24

Lo stile del Compianto è coerente con tutte le opere realizzate da Michele da Firenze dopo il trasferimento a nord degli Appennini. Michele di Niccolò di Dino è documentato per la prima volta tra i collaboratori di Lorenzo Ghiberti nella prima fase dei lavori per la porta Nord del battistero fiorentino tra il 1403 e il 1407.25 Si può quindi ipotizzare che fosse un coetaneo di Donatello, il più celebre tra i giovani aiutanti di Ghiberti: se dunque Michele fosse nato intorno al 1485, allora avrebbe realizzato il Compianto quando aveva tra i cinquanta e i sessant’anni. Al secondo e al terzo decennio del Quattrocento si fanno di norma risalire una serie di piccoli tabernacoli raffiguranti la Madonna col Bambino e le sculture realizzate per le chiese e gli oratori di Arezzo, dove sembra che lo scultore si sia stabilito per qualche anno.26

Nella seconda metà del terzo decennio Michele si trasferì a Ferrara: secondo un cronista estense, la monumentale Madonna col Bambino che ancora oggi si ammira sulla facciata della cattedrale fu svelata nel 1427.27 A questa indicazione cronologica si può guardare con maggiore fiducia grazie a un documento individuato di recente: nel 1430, da Venezia, l’intagliatore Lorenzo Moranzone chiese al collega Cristoforo Giandosi di recuperare a Ferrara del denaro dovutogli da Michele (definito nel documento orefice), segno che il fiorentino era – o comunque era già stato – in terra estense.28 Nel 1433 lo scultore si spostò a Verona, dove realizzò, aiutato dal figlio Marsilio, la sua opera più ambiziosa, ovvero gli sterminati rilievi con le Storie del Nuovo Testamento che ancora oggi ricoprono la cappella Pellegrini in Sant’Anastasia.29 Nel 1436 i lavori erano in corso e nel 1438 padre e figlio non avevano ancora lasciato Verona, ma meno di un anno più tardi dovevano già essersi spostati a Ferrara: nel marzo del 1440 Michele ricevette da Niccolò III d’Este un pagamento conclusivo per la pala d’altare di Santa Maria degli Angeli a Belfiore, per la quale è plausibile che fosse stato necessario almeno un anno di lavoro.30 Fu probabilmente grazie a quest’opera che Michele e Marsilio giunsero a Modena.

Il 6 settembre 1440 – quando ancora non aveva ricevuto il permesso di lasciare Ferrara dal marchese Niccolò – lo scultore si impegnò con lo speziario Ilario Manzoli a eseguire entro tredici mesi una pala in terracotta per l’altare maggiore della cattedrale modenese: su esplicita indicazione del contratto, l’opera avrebbe dovuto ricalcare per forma, dimensioni e qualità la “tabula” di Belfiore.31 Questa indicazione e la stretta sequenza di tempi suggeriscono di escludere che il Compianto sia stato eseguito prima del polittico, ad esempio per verificare le capacità dello scultore con un’opera di minore impegno.

Esiste in ogni caso una sostanziale contiguità stilistica tra la pala della cattedrale e le figure del gruppo: basti confrontare i volti di Giuseppe d’Arimatea e di Nicodemo con quelli dei santi Geminiano e Nicola da Bari nel primo registro dell’ancona; anche la loro posa un po’ rigida, con le mani all’altezza della vita, si ritrova in quasi tutte le figurine che popolano i pilastri del polittico; con un maggiore salto di scala, la Vergine che nel secondo registro assiste alla Crocifissione si può accostare bene ai personaggi femminili del Compianto. Queste analogie, tuttavia, non sono molto discretive: dopo la prima fase toscana – caratterizzata da volti più carnosi e ricchi di dettagli – lo scultore ripropose queste fisionomie smagrite e un po’ generiche decine di volte all’interno di tutta la sua vasta produzione a nord degli Appennini. Il gruppo modenese, inoltre, è forse l’opera dell’intero catalogo del fiorentino dove il magistero di Ghiberti è meno riconoscibile, non solo per i condizionamenti del formato (le mezze figure lasciano poco spazio ai panneggi falcati che più contraddistinguono l’adesione alle formule tardogotiche), ma anche per quelli del soggetto: le espressioni drammatiche da conferire alla Vergine e alle compagne – dove lo scultore sembra poco a suo agio – mal si adattano a quell’uniformità di tipi e fisionomie che spesso ha guidato le aggiunte al corpus del fiorentino.

L’influsso del maestro si era comunque già attenuato al tempo di Verona: i veli sinuosamente ripiegati sulle teste delle Madonne col Bambino della prima produzione – una delle sigle più tipiche del tardogotico in scultura, soprattutto da Jacopo della Quercia in avanti – sono ben più sobri nelle pie donne della Deposizione nel Sepolcro Pellegrini, che resta il precedente più stretto anche per le altre figure del Compianto modenese. Ed è quindi forse più indicativo di una prossimità cronologica il confronto tra quest’ultime (in particolare quella all’estrema sinistra) e la figura di una santa monaca che occupa una delle nicchie del polittico di Raccano di Polesella (Rovigo, Accademia dei Concordi, Pinacoteca del Seminario), parte della produzione del fiorentino per le chiese del Polesine (un’attività che di norma si fa risalire al secondo soggiorno ferrarese).32

Considerazioni più significative si possono proporre per il Cristo. Fatta eccezione per alcuni dettagli (l’ordine in cui le mani si sovrappongono, la decorazione dell’aureola e del cuscino) il giacente è pressoché sovrapponibile a quello che oggi si trova a Reggio Emilia nella chiesa di San Giovanni Evangelista, ma di cui si ignora la provenienza.33 Il Cristo reggiano, tuttavia, non mostra tracce della presenza originaria di altre figure (che avrebbero avuto per forza di cose una forma diversa da quelle modenesi). Michele replicò il prototipo altre due volte adattandolo al formato a mezza figura e alla posizione verticale di un Cristo in pietà: mi riferisco alla terracotta proveniente dalla chiesa dei Santi Erasmo e Agostino a Governolo (Mantova, Museo Diocesano Francesco Gonzaga, inv. 1216) e all’esemplare analogo in collezione privata a Venezia.34 Nelle quattro terrecotte, l’espressione sofferente del Salvatore si ripete con minime variazioni: le guance scavate, la bocca semiaperta, il labbro ritirato su una delle arcate dentali, le sopracciglia corrugate, la radice del naso e le occhiaie segnate da profonde incisioni. Nel Cristo modenese, sotto la corona spiraliforme (che mostra ancora i fori per l’inserimento delle spine), la disposizione dei capelli al centro della fronte e sulle spalle è simile a quella degli altri esemplari. È una formula che lo scultore deve aver messo a punto a Ferrara o a Verona, dove compare per la prima volta nella Deposizione Pellegrini. Diversamente, i Crocifissi plasmati per Arezzo – ovvero quello del Calvario del Museo Diocesano e quello del monumento Roselli in San Francesco – sono compostamente addormentati e hanno il volto incorniciato da barbe e chiome più morbide e folte. Oltre che nelle sculture di Mantova e Reggio Emilia, l’anatomia straziata del Cristo di Modena – la cassa toracica esile, le clavicole sporgenti, i capezzoli incisi con un tondino, il costato sanguinante, i solchi che mettono in risalto i tendini sulle braccia stirate dal martirio – si ritrova nel formato monumentale del Crocifisso recentemente scoperto nella basilica di Polirone a San Benedetto Po, in provincia di Mantova.35

STORIA CONSERVATIVA

Storia conservativa e restauri documentati

Storia conservativa e restauri documentati

2007-2009
Opificio delle Pietre Dure di Firenze, settore Materiali ceramici, plastici e vitrei (Shirin Afra; direzione e coordinamento di Laura Speranza, coordinamento tecnico di Francesca Kumar e Andreina Andreoni; analisi chimiche di Monica Galeotti) per conto della Soprintendenza per i beni Storici Artistici e Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia.

Dopo il rinvenimento dell’opera (giugno 2006) e un sopralluogo del personale dell’Opificio delle Pietre Dure (aprile 2007), il Compianto è stato trattato nel laboratorio di via degli Alfani a Firenze a partire dal luglio 2007. L’intervento è stato finanziato dal Ministero per i beni e le attività culturali, dal Comune di Modena e dal Soroptimist Club di Modena.

Al momento del ritrovamento, i frammenti erano ricoperti da un pesante accumulo fangoso, probabilmente frutto dell’impasto tra la polvere e l’alta umidità dell’intercapedine dove erano stati occultati.36 Disidratandosi e ritirandosi, gli strati di sporco avevano provocato il quasi totale distaccamento della pellicola pittorica originale e delle successive ridipinture. La terracotta, inoltre, si presentava fortemente decoesa a causa dei difetti di cottura e della prolungata esposizione all’umidità. I danni risultavano aggravati dall’impiego di malta, cemento e gesso nel corso di diversi smontaggi e rimontaggi del gruppo, sia per unire i pezzi che per il riempimento delle cavità posteriori delle figure: questi materiali hanno veicolato sali solubili accelerando la disgregazione del materiale.

Oltre a un consolidamento delle parti più fragili (tramite fluorurato, resine epossidiche bicomponenti e silicato di etile), si è resa necessaria l’aggiunta di integrazioni strutturali (scheletri di sostegno in ottone e fibra di vetro; resina mista a cocciopesto setacciato e polvere di marmo; rifiniture con stucco a base di cellulosa), in particolare per la terza figura da sinistra, per il Nicodemo e per la parte inferiore della Maddalena. Altre stuccature sono state aggiunte per garantire continuità e leggibilità al modellato, ma anche per proteggere le zone di contatto fra i diversi pezzi.

La rimozione delle ridipinture ha messo in luce i colori originali, talvolta coperti da cromie molto diverse, in particolare il nero del manto della prima figura da sinistra, il verde (oggi virato al bruno) dell’abito del Giuseppe d’Arimatea, l’avorio della veste del Nicodemo e la foglia d’oro che ricopriva il perizoma del Cristo. Le zone da integrare cromaticamente sono state preparate con stucco vinilico e su tutto il gruppo è stata stesa una vernice matt prima dei ritocchi con colori ad acquerello.

Per garantire staticità al gruppo, ovviando all’irregolarità delle superfici d’appoggio o di contatto tra i diversi pezzi, nonché e ai dislivelli causati dai tagli di cottura, sono state realizzate zeppature in resina epossidica, che hanno permesso di mantenere disgiunte le porzioni dell’opera facilitandone lo smontaggio e la movimentazione. Il Compianto poggia su una struttura in legno autoportante che fornisce a ogni parte del gruppo la giusta altezza.

ALTRE SEZIONI

Storia espositiva

Storia espositiva

Dopo il ritrovamento nel 2006 e il restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze (2007-2009), il Compianto è esposto alla Galleria Estense dal 2009.

Mostre

Mostre

Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni, Antonio Begarelli. Sculture del Rinascimento emiliano, catalogo della mostra (Modena, Foro Boario, 21 marzo - 7 giugno 2009) a cura di G. Bonsanti, F. Piccinini, Modena 2009, pp. 96-98 n. 3 [solo il Nicodemo e la quarta figura femminile da sinistra].

Bibliografia

Bibliografia

L. Cavazzini, “Pisanello e gli scultori, tra Verona e Mantova”, in Pisanello. Il tumulto del mondo, catalogo della mostra (Mantova, Museo di Palazzo Ducale, 7 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023) a cura di S. L’Occaso, Milano 2022, p. 37 [Michele da Firenze].

B. Rosa, scheda in Pisanello. Il tumulto del mondo, catalogo della mostra (Mantova, Museo di Palazzo Ducale, 7 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023) a cura di S. L’Occaso, Milano 2022, p. 148 n. XXV [Michele da Firenze].

V. Ravaglia, “ ‘Commemoratio sepulchri dominici’. Riflessioni sugli spazi dei Sepolcri fittili emiliani”, in Arte e umanesimo a Bologna (1460-1530). Materiali e nuove prospettive, a cura di D. Benati, G.A. Calogero, Bologna 2019, p. 172 [Michele da Firenze, “intorno al 1443”], https://www.academia.edu/44695315/Commemoratio_sepulchri_dominici_Riflessioni_sugli_spazi_dei_Sepolcri_fittili_emiliani_in_Arte_e_umanesimo_a_Bologna_a_cura_di_D_Benati_e_G_A_Calogero_Bologna_2020_pp_169_187

M. Scansani, “Una nuova traccia di Michele da Firenze nel Mantovano”, in Storia dell’Arte, n.s., 46-48, 2017, p. 12 e p. 14 nota 16 [Michele da Firenze], https://www.storiadellarterivista.it/shop/articoli/una-nuova-traccia-di-michele-da-firenze-nel-mantovano/

A. Galli, “The Yale University Art Gallery’s ‘Virgin and Child’ and Michele da Firenze’s Career”, in Yale University Art Gallery Bulletin, 2016, pp. 28-29 [Michele da Firenze], https://www.academia.edu/37176630/The_Yale_University_Art_Gallery_s_Virgin_and_Child_and_Michele_da_Firenze_s_Career_in_Yale_University_Art_Gallery_Bulletin_2016_pp_22_33

M. Toffanello, scheda in La Galleria Estense di Modena. Guida breve, a cura di S. Casciu, Modena 2015, p. 74 n. 59 [Michele da Firenze, 1443-1448].

A. Galli, Prima di Amadeo. Sculture in terracotta in Lombardia attorno alla metà del Quattrocento, in Terrecotte nel Ducato di Milano. Artisti e cantieri del primo Rinascimento, a cura di M.G. Albertini Ottolenghi, L. Basso, Milano 2013, p. 45 [Michele da Firenze], https://www.academia.edu/37176761/Prima_di_Amadeo_sculture_in_terracotta_in_Lombardia_attorno_alla_metà_del_Quattrocento_in_Terrecotte_nel_Ducato_di_Milano_artisti_e_cantieri_del_primo_Rinascimento_atti_del_convegno_Milano_e_Pavia_17_18_ottobre_2011_a_cura_di_M_G_Albertini_Ottolenghi_e_L_Basso_Milano_ET_2013_pp_43_58

Il Compianto ritrovato. Il restauro del Compianto sul Cristo morto di Michele da Firenze, Modena 2010 [Michele da Firenze, 1443 circa].

F. Piccinini, scheda in Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni, Antonio Begarelli. Sculture del Rinascimento emiliano, catalogo della mostra (Modena, Foro Boario, 21 marzo - 7 giugno 2009) a cura di G. Bonsanti, F. Piccinini, Modena 2009, pp. 96-98 n. 3 [Michele da Firenze, 1443 circa].

F. Piccinini, “Una mostra diffusa: riflessioni sulla sua realizzazione, novità e assenze”, in Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni, Antonio Begarelli. Sculture del Rinascimento emiliano, catalogo della mostra (Modena, Foro Boario, 21 marzo - 7 giugno 2009) a cura di G. Bonsanti, F. Piccinini, Modena 2009, p. 17 [Michele da Firenze, 1443 circa].

Bibliografia citata

Afra, Andreoni, Kumar et al. 2010 = S. Afra, A. Andreoni, F. Kumar, L. Speranza, F. Tattini, “Intorno al restauro del ‘Compianto’ di Michele da Firenze”, in Il Compianto ritrovato. Il restauro del Compianto sul Cristo morto di Michele da Firenze, Modena 2010, pp. 17-32.

Berardi 2000 = P. Berardi, Marsilio di Michele da Firenze. Una congiuntura Pesaro-Castiglione Olona, Pesaro 2000.

Cavazzini, Galli 2007 = L. Cavazzini, A. Galli, “Scultori a Ferrara al tempo di Niccolò III”, in Crocevia estense. Contributo per la storia della scultura a Ferrara nel XV secolo, Ferrara 2007, pp. 18-24.

Colombo, Conti, Realini et al. 2009 = C. Colombo, C. Conti, M. Realini, T. Poli, “Lo studio dei materiali e delle tecniche”, in Una Annunciazione e una Trinità, frammenti in terracotta di Michele da Firenze: un restauro, a cura di B. Giovannucci Vigi, F. Bevilacqua, Ferrara 2009, pp. 35-65.

Da Biduino ad Algardi 1990 = Da Biduino ad Algardi. Pittura e scultura a confronto, a cura di G. Romano, Torino 1990.

Il Duomo di Modena 1999 = Il Duomo di Modena, a cura di C. Frugoni, 3 voll., Modena 1999.

Emozioni in terracotta 2009 = Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni, Antonio Begarelli. Sculture del Rinascimento emiliano, catalogo della mostra (Modena, Foro Boario, 21 marzo - 7 giugno 2009) a cura di G. Bonsanti, F. Piccinini, Modena 2009.

Ferretti 1997 = M. Ferretti, “Nota su Michele da Firenze (e Nanni di Bartolo)”, in Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat, Firenze 1997, pp. 103-110.

Franceschini 1993 = A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, vol. I, Ferrara 1993.

Galli 1992 = A. Galli, “Michele da Firenze: i problemi dell’attività giovanile”, in Prospettiva, 68, 1992, pp. 13-29, https://www.jstor.org/stable/24431609

Galli 2008 = A. Galli, “Arte in terra, ad Arezzo (1420-1450)”, in Arte in terra d’Arezzo. Il Quattrocento, a cura di L. Fornasari, G. Gentilini e A. Giannotti, Firenze 2008, pp. 199-218.

Galli 2013 = A. Galli, “Prima di Amadeo. Sculture in terracotta in Lombardia attorno alla metà del Quattrocento”, in Terrecotte nel Ducato di Milano. Artisti e cantieri del primo Rinascimento, a cura di M.G. Albertini Ottolenghi, L. Basso, Milano 2013, pp. 43-58, https://www.academia.edu/37176761/Prima_di_Amadeo_sculture_in_terracotta_in_Lombardia_attorno_alla_metà_del_Quattrocento_in_Terrecotte_nel_Ducato_di_Milano_artisti_e_cantieri_del_primo_Rinascimento_atti_del_convegno_Milano_e_Pavia_17_18_ottobre_2011_a_cura_di_M_G_Albertini_Ottolenghi_e_L_Basso_Milano_ET_2013_pp_43_58

Galli 2016 = A. Galli, “The Yale University Art Gallery’s ‘Virgin and Child’ and Michele da Firenze’s Career”, in Yale University Art Gallery bulletin, 2016, pp. 23-33, https://www.academia.edu/37176630/The_Yale_University_Art_Gallery_s_Virgin_and_Child_and_Michele_da_Firenze_s_Career_in_Yale_University_Art_Gallery_Bulletin_2016_pp_22_33

Galeotti 2010 = M. Galeotti, “Le analisi scientifiche”, in Il Compianto ritrovato. Il restauro del Compianto sul Cristo morto di Michele da Firenze, Modena 2010, pp. 33-38.

Gentile 1989 = G. Gentile, “Testi di devozione e iconografia del Compianto”, in Niccolò dell’Arca. Seminario di studi, a cura di G. Agostini, L. Ciammitti, Bologna 1989, pp. 167-202, https://www.academia.edu/42713619/_Testi_di_devozione_e_iconografia_del_Compianto_in_Niccolò_dellArca_a_cura_di_G_Agostini_e_L_Ciammitti_Bologna_1989_pp_167_211

Giovannini 1988 = C. Giovannini, “L’Altare delle statuine”, in O. Baracchi, C. Giovannini, Il Duomo e la Torre di Modena. Nuovi documenti e ricerche, Modena 1988.

Giovannini 2009 = C. Giovannini, “Il ‘Compianto’ del San Geminiano di Michele da Firenze [documenti]”, in Emozioni in terracotta 2009, p. 260.

Lugli 1990 = A. Lugli, Guido Mazzoni e la rinascita della terracotta nel Quattrocento, Torino 1990.

Markham Schulz 2011 = A. Markham Schulz, Woodcarving and Woodcarvers in Venice 1350-1550, Firenze 2011.

Markham Schulz 2022 = A. Markham Schulz, Late Gothic sculpture in northern Italy. Andrea da Giona and i Maestri Caronesi, 2 voll., London 2022.

Martin 1997 = M. Martin, La statuaire de la Mise au Tombeau du Christ des XVe et XVIe siecles en Europe occidentale, Paris 1997.

Napione, Galli 2008 = E. Napione, A. Galli, “L’altare in terracotta della cappella Pellegrini: frammenti di Michele da Firenze”, in Verona illustrata, 21, 2008, pp. 43-67, https://www.researchgate.net/profile/Ettore-Napione/publication/327916158_L’altare_in_terracotta_della_cappella_Pellegrini/links/5baced5f92851ca9ed2a3ccd/Laltare-in-terracotta-della-cappella-Pellegrini.pdf

Piccinini 2010 = F. Piccinini, “Importante novità per il Quattrocento modenese”, in Il Compianto ritrovato. Il restauro del Compianto sul Cristo morto di Michele da Firenze, Modena 2010, pp. 9-16.

Pisanello 1996 = Pisanello, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio, 8 settembre - 8 dicembre 1996) a cura di P. Marini, Milano 1996.

Pisanello 2022 = Pisanello. Il tumulto del mondo, catalogo della mostra (Mantova, Museo di Palazzo Ducale, 7 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023) a cura di S. L’Occaso, Milano 2022, p. 37.

Pisanello. I luoghi del Gotico 1996 = Pisanello. I luoghi del Gotico internazionale nel Veneto, a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996.

Ravaglia 2019 = V. Ravaglia, “‘Commemoratio sepulchri dominici’. Riflessioni sugli spazi dei Sepolcri fittili emiliani”, in Arte e umanesimo a Bologna (1460-1530). Materiali e nuove prospettive, a cura di D. Benati, G.A. Calogero, Bologna 2019, pp. 169-188, https://www.academia.edu/44695315/Commemoratio_sepulchri_dominici_Riflessioni_sugli_spazi_dei_Sepolcri_fittili_emiliani_in_Arte_e_umanesimo_a_Bologna_a_cura_di_D_Benati_e_G_A_Calogero_Bologna_2020_pp_169_187

Saccani 1915 = G. Saccani, “Relazione tenuta all’adunanza del 19 aprile 1913”, in Atti e memorie della deputazione di storia patria per le provincie modenesi, IX, 1915, pp. XXII-XXIV.

Scansani 2017 = M. Scansani, “Una nuova traccia di Michele da Firenze nel Mantovano”, in Storia dell’Arte, n.s., 46-48, 2017, pp. 7-16, https://www.storiadellarterivista.it/shop/articoli/una-nuova-traccia-di-michele-da-firenze-nel-mantovano/

Soli 1927 = G. Soli, “Il romitorio, lo spedale, la chiesa e il monastero di San Geminiano”, in Le chiese di Modena, vol. II, Modena, 1927, pp. 85-103.

Snow, Torok, Bezur et al. 2016 = C. Snow, E. Torok, A. Bezur, “Technical Notes on Michele da Firenze’s ‘Virgin and Child’: Examination, Analysis, and Treatment”, in Yale University Art Gallery bulletin, 2016, pp. 34-41.

Toffanello 2010 = M. Toffanello, Le arti a Ferrara nel Quattrocento. Gli artisti e la corte, Ferrara 2010, https://www.academia.edu/35553192/Le_arti_a_Ferrara_nel_Quattrocento_gli_artisti_e_la_corte_EdiSai_Ferrara_2010

Note

Note

  1. Giovannini 2009 (16 aprile e 28 giugno 1448); Soli 1927, vol. II, pp. 85-103. ↩︎

  2. Giovannini 2009 (26 febbraio 1443 e 9 luglio 1444). ↩︎

  3. Saccani 1915, p. XXIV. ↩︎

  4. In questo paragrafo, faccio riferimento alla relazione di restauro di Afra, Andreoni, Kumar et al. 2010. ↩︎

  5. In alcuni casi le teste sono state scavate rimuovendo e poi incollando nuovamente le calotte craniche. I segni ‘I’, ’II’, ‘III’, ‘IIII’, ‘IIIII’ si trovano alla base delle prime cinque figure da sinistra (ivi, p. 19, fig. 17 e p. 21, fig. 25). ↩︎

  6. Per le analisi dei pigmenti: Galeotti 2010. ↩︎

  7. Le analisi non hanno potuto stabilire con certezza quale dei due leganti sia stato utilizzato: ivi, p. 37. L’utilizzo di olio come legante per il colore è stato ipotizzato anche dalle analisi condotte sulla Madonna col Bambino della Yale University Art Gallery (Maitland F. Griggs, B. A. 1896, Fund, 1964.43): Snow, Torok, Bezur et al. 2016, p. 36. ↩︎

  8. Benché di uso comune, va segnalato che alcuni di questi pigmenti sono stati individuati anche dalle analisi condotte sui rilievi con l’Annunciazione e la Trinità oggi al Seminario Arcivescovile di Ferrara: Colombo, Conti, Realini et al. 2009. ↩︎

  9. Una preparazione composta da gesso, uovo e polvere di materiale ceramico è stata individuata dalle analisi condotte sui rilievi con l’Annunciazione e la Trinità oggi al Seminario Arcivescovile di Ferrara: Colombo, Conti, Realini et al. 2009, pp. 42, 65. ↩︎

  10. Marco (15:40-41), Matteo (27:55) e Luca (23:49, 55-56) parlano di “molte donne” o genericamente di “donne” della Galilea. Matteo (27:56 e 28:1) menziona poi in particolare Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il Minore e Giuseppe (identificata con Maria di Cleofa), della madre dei figli di Zebedeo (identificata con Salome) e poi di nuovo Maria Maddalena insieme all’“altra Maria” (27:61). Marco (15:40, 47 e 16:1) cita Maria Maddalena, Salome e la “madre di Giacomo e di Iose”. ↩︎

  11. Markham Schulz 2022, pp. 166-168 n. 39. ↩︎

  12. In breve: Ravaglia 2019, p. 175 nota 22. ↩︎

  13. Preferisco dunque questa identificazione a quella adottata nel volume Il Compianto ritrovato (2010). ↩︎

  14. Nei rilievi della cappella Pellegrini i due attori sono caratterizzati in modo diverso. Nella Deposizione dalla Croce l’uomo che tiene le tenaglie ha una barba folta e lunghi capelli; quello con la pisside (identica a quella di Modena) porta un cappello simile a quello indossato dal personaggio del Compianto modenese che qui si è proposto di identificare con Giuseppe d’Arimatea. ↩︎

  15. Gentile 1989. ↩︎

  16. Rimando allo studio comparato di Ravaglia 2019. ↩︎

  17. Gentile 1989, pp. 174-175 e p. 199 nota 41. ↩︎

  18. Martin 1997. ↩︎

  19. Markham Schulz 2022, pp. 169-170 n. 40. A questa tipologia corrispondono, ad esempio, anche i gruppi lignei di Giovanni Angelo e Tiburzio del Maino (Bellano, chiesa di Santa Marta), del Maestro di Castelbeltrame (Novara, Musei Civici del Broletto) e del Maestro di Santa Maria Maggiore (Torino, Museo Civico d’Arte Antica). ↩︎

  20. Lugli 1990, pp. 347-348. ↩︎

  21. F. Piccinini, in Emozioni in terracotta 2009, pp. 96-98 n. 3; Ead. 2010. ↩︎

  22. Su questo punto, condivido il ragionamento di Napione, Galli 2008, pp. 48-52. ↩︎

  23. Giovannini 1988, p. 63 (6 settembre 1440); Saccani 1915, p. XXIV (5 agosto 1443); Berardi 2000, p. 50 n. 16 (5 giugno 1448). ↩︎

  24. Berardi 2000, p. 50 n. 9 (13 settembre 1444) e p. 51 n. 13 (21 agosto 1447). ↩︎

  25. Oltre alla fondamentale ricostruzione di Gentilini (in Da Biduino ad Algardi 1990, pp. 25-37 n. 3), per il resoconto più aggiornato della vita e delle opere di Michele da Firenze rimando a Galli 2016; si vedano le aggiunte di Scansani 2017. ↩︎

  26. Per i tabernacoli: Galli 1992, pp. 18-22; Ferretti 1997, pp. 103-108. Per l’attività ad Arezzo: Galli 2008, pp. 119-212. ↩︎

  27. Cavazzini, Galli 2007, p. 33 nota 55; Toffanello 2020, pp. 92, 300. ↩︎

  28. Galli 2016, p. 27; cfr. Markham Schulz 2011, p. 96 n. 159 (14 giugno 1430). Delegando suo nipote Jacopo, Moronzone cercò nuovamente di recuperare il credito nel 1432 e nel 1433, e in quest’ultimo caso nel documento si specifica che Michele risiedeva non più a Ferrara, ma a Verona (ivi, p. 133 n. 367; p. 142 n. 392). ↩︎

  29. In breve: F. Pietropoli, in Pisanello. I luoghi del Gotico 1996, pp. 82-85 (senza numero); Galli 2016, p. 27. L’altare del sacello, anch’esso modellato in terracotta, è andato quasi interamente perduto: Napione, Galli 2008. ↩︎

  30. Franceschini 1993, vol. I n. 448. ↩︎

  31. Sull’opera si veda F. Piccinini, in Il Duomo di Modena 1999, vol. I, pp. 277-282 (senza numero). Per la scoperta e per la trascrizione del contratto: Giovannini 1988, in part. pp. 63-64. ↩︎

  32. Galli 2016, p. 28. Per il polittico di Raccano: D. Samadelli, in Pisanello. I luoghi del Gotico 1996, p. 228 (senza numero). ↩︎

  33. F. Piccinini, in Emozioni in terracotta 2009, pp. 115-117 n. 12. ↩︎

  34. Per l’opera di Governolo: Galli, Cavazzini 2007, p. 21; Galli 2013, pp. 43-45; B. Rosa, in Pisanello 2022, p. 148 n. XXV. Per quella di collezione privata: Galli, Cavazzini 2007, p. 21 e p. 35 nota 75. ↩︎

  35. Galli 2016, p. 29 e p. 33 nota 25; Cavazzini 2022, p. 37 e p. 38, fig. 4. ↩︎

  36. In questo paragrafo faccio riferimento ad Afra, Andreoni, Kumar et al. 2010. ↩︎

Marcello Calogero

Fig. 3, Michele da Firenze, Altare delle statuine. Modena, Duomo. Foto 831 nel volume Il Duomo di Modena, Modena, 1999
Fig. 1, Pittore ferrarese, Deposizione di Cristo nel sepolcro con santi francescani. Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Fig. 2, Cristoforo da Bologna, Deposizione (particolare). Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Michele da Firenze, Compianto sul Cristo morto
Fig. 1, Pittore ferrarese, Deposizione di Cristo nel sepolcro con santi francescani. Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Fig. 2, Cristoforo da Bologna, Deposizione (particolare). Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
Fig. 3, Michele da Firenze, Altare delle statuine. Modena, Duomo. Foto 831 nel volume Il Duomo di Modena, Modena, 1999
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