INTRODUZIONE
Le cinque tavolette facevano parte di una predella che si componeva in origine di almeno un altro episodio dedicato plausibilmente alla Passione di Gesù. Tale ensemble sottostava a un polittico smembrato entro la fine del XVIII secolo, i cui elementi sono andati dispersi e che oggi sono solo in parte rintracciabili. Le caratteristiche materiali e iconografiche permettono il sicuro collegamento di due pannelli conservati presso la Národní Galerie di Praga, che raffigurano rispettivamente San Zanobi e sant’Andrea, San Giovanni evangelista e santa Caterina d’Alessandria, i quali costituivano gli scomparti laterali del trittico. Le proposte in merito all’annessione di altri dipinti non risultano al momento esaustive.
L’inclusione tra i santi del vescovo Zanobi permette di identificare l’origine dell’opera dalla zona di Firenze, nella quale Arcangelo di Cola da Camerino – che una nota di Roberto Longhi del 1940 ha riconosciuto come l’autore dei dipinti in predicato – risulta operoso tra il 1420 e il 1425 circa. Necessita di verifiche l’eventualità che i pezzi sinora identificati possano aver fatto parte del polittico che il pittore eseguì tra il 1421 e il 1422 per il banchiere Ilarione de’ Bardi, destinato a una cappella della chiesa di Santa Lucia de’ Magnoli, ma di cui non si conosce né l’assetto iconografico né la forma.
Sul piano formale la predella estense è indice dell’adesione manifestata da Arcangelo di Cola nei confronti del raffinato linguaggio di Gentile da Fabriano, che soggiornò nel capoluogo toscano in parallelo al collega marchigiano, e di Lorenzo Ghiberti, ponendosi in parallelo all’attività di Giovanni Francesco Toscani. Si tratta quindi di un’opera calata nei canoni dell’arte tardogotica fiorentina. Le influenze della lezione masaccesca, individuate dalla maggior parte degli studi, risultano meno cogenti, se non assenti, anche ai fini della sua datazione, che per ragioni stilistiche non travalica verosimilmente il 1425.
STORIA E ICONOGRAFIA
Storia dell’opera
Provenienza
Modena, collezione marchese Giuseppe Campori (1821-1887); Modena, eredi di Giuseppe Campori; Modena, Palazzo dell’Albergo delle Arti, Sala dei Benefattori, dal 1891; Modena, Galleria Estense in Palazzo dei Musei, dal 1894.1
I dipinti, entrati in Galleria grazie al lascito Campori, sono plausibilmente riconoscibili nella “Predella d’altare del secolo XIV con istorie della Passione”, di anonimo autore, registrata presso il Palazzo dell’Albergo delle Arti come proveniente da tale raccolta.2 In origine essi appartenevano alla predella di un polittico solo in parte ricostruibile. Nel riferire ad Arcangelo di Cola le due tavole della Národní Galerie di Praga raffiguranti San Zanobi e sant’Andrea, San Giovanni evangelista e santa Caterina d’Alessandria (invv. O 11890-11891, fig. 2), Federico Zeri (1969) ne proponeva l’associazione con gli scomparti modenesi, in virtù delle corrispondenze iconografiche.3 A suo avviso essi potevano aver spartito la medesima provenienza dalla collezione creata a cavallo fra Sette e Ottocento dal marchese Tommaso Obizzi (1750-1803) presso il castello del Catajo a Battaglia Terme, presso Padova, la quale risulta certa per le tavole ceche, che alla fine del XIX secolo vennero da qui trasportate per volere dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria-Este a Vienna e quindi al castello di Konopiště, in Boemia.4 Secondo Zeri il trittico doveva presentarsi integro al tempo dell’Obizzi, per essere poi smembrato una volta giunto a Modena, dato che l’ingente raccolta passò in eredità al duca Ercole III d’Este e quindi al ramo estense degli Asburgo.5 In realtà, la maggior parte dei dipinti del XIV e dei primi decenni del XV secolo restò al Catajo per tutto l’Ottocento e non sono finora note connessioni tra i beni Obizzi pervenuti agli Este e gli interessi collezionistici di Carlo Campori († 1857) e dei figli Giuseppe e Cesare, concretizzatesi a partire dagli anni quaranta.6 È probabile che le due coppie di Santi oggi a Praga siano state acquistate da Tommaso Obizzi a seguito del suo viaggio in Toscana tra 1797 e 1798, durante il quale il marchese, distinto da una precoce passione per i primitivi, soggiornò a Firenze e in altre città, entrando in contatto con mercanti e restauratori locali, aprendo così la via alle accessioni degli anni successivi.7
La presenza di san Zanobi, che può ritenersi certa nel dipinto praghese,8 oltre che nel primo fra quelli in predicato, implica infatti una destinazione antica per Firenze o per le zone comprese nel raggio della sua diocesi, escludendo gli altri centri (Camerino, Città di Castello, Roma) dove Arcangelo di Cola fu operoso. Nella città gigliata l’artista è attestato dal 1420 sino al 1425 circa (salvo un temporaneo soggiorno a Roma)9 e l’unica opera documentata realizzata per il capoluogo toscano è la tavola commissionata da Ilarione de’ Bardi per la cappella dedicata ai santi Lorenzo e Ilarione nella chiesa di Santa Lucia de’ Magnoli, eseguita tra l’estate del 1421 e la metà del 1422, in parallelo agli affreschi di Bicci di Lorenzo che la ornavano.10 Ciò ha spinto Alessandro Ciandella (2005) a ipotizzare l’origine da questo luogo del polittico diviso tra Praga e Modena,11 in passato non presa in considerazione a ragione dell’assenza dei santi titolari e della maturità stilistica evidenziata dall’opera nel suo insieme.12 Alcune specifiche non appaiono comunque fuori luogo in vista di futuri approfondimenti: membro di una famiglia di banchieri consorziata coi Medici (che a metà Quattrocento costituirà con il nome di Ilarioni un ramo autonomo rispetto ai Bardi) e imparentatasi a fine Trecento con i Brancacci, Ilarione di Lippaccio di Piero era fratello di Andrea e Benedetto. A uno tra i suoi figli, nato nel 1419, fu dato il nome di Lorenzo (da qui la doppia intitolazione della cappella); Andrea chiamerà uno dei suoi Giovanni (nato nel 1431); Caterina era invece il nome di battesimo della madre, moglie di Lippaccio, nonché della figlia di Benedetto.13 A partire dall’ultimo quarto del Trecento i vescovi di Firenze detenevano l’autorità sulla chiesa di Santa Lucia de’ Magnoli14 e ciò potrebbe giustificare l’inclusione di san Zanobi a fianco dei santi onomastici dei familiari del committente. A ciò si aggiunga che il santo è collocato nella medesima posizione, ossia all’estrema sinistra, nella pala dipinta in seguito da Domenico Veneziano per l’altare maggiore della chiesa (oggi esposta alle Gallerie degli Uffizi). Se a san Lorenzo fosse stata dedicata parte degli affreschi che arricchivano la cappella, andati perduti, la questione della sua assenza dal polittico in esame potrebbe trovare un’adeguata soluzione.15
La presenza di san Zanobi indirizza altresì verso altre sedi religiose fiorentine, dal Duomo, ove varie cappelle erano intitolate o co-intitolate al vescovo, alla chiesa di Santo Stefano al Ponte, ove la famiglia Girolami, che si proclamava sua discendente, aveva sin dal 1413 il patronato su una cappella.16
Configurazione del polittico originario
La ricomposizione della veste originaria del polittico (Fig. 4) è stata discussa da Alessandro Marchi (2002) in relazione alla Madonna con il Bambino in trono e quattro angeli della Yale University Art Gallery di New Haven (inv. 1937.10, Fig. 1) e alle tavole raffiguranti l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata già nella collezione Chalandon a Parcieux (oggi Stati Uniti, collezione privata, Fig. 3), da lui ritenute, per assonanza delle dimensioni e dello stile, scomparto principale e tabelloni apicali a vento, secondo una formula schiettamente fiorentina.17 Occorre specificare che i pannelli praghesi (Fig. 2) sono stati resecati sopra le teste dei santi (e reintegrati di 18 cm in alto), nonché di alcuni centimetri in basso (le loro dimensioni, al netto di tali decurtazioni, sono quindi di 80,5 x 61,5 cm). Se il pavimento in cui si collocano questi Santi corre alla stessa altezza di quello della Madonna di New Haven (20 e 21,5 cm dal basso, di contro a 22 cm, senza tener conto delle piccole porzioni inferiori mancanti nei dipinti di Praga), nei primi l’imposta dell’arcata sommitale cade a confronto un poco più in basso, non al medesimo livello (ossia a 77,5 cm dal basso nel dipinto americano), per cui l’associazione non può considerarsi assodata.18 Le due tavole che compongono l’Annunciazione hanno dimensioni pressoché doppie rispetto a quelle indicate da Zeri e Marchi (94 x 34 cm circa ciascuna e non 55 x 25,7),19 cosa che a ogni modo non inficerebbe il loro collegamento, come documenta il polittico Ardinghelli di Giovanni di Francesco Toscani, ove le cuspidi mostrano un’altezza pari ai laterali maggiori.20
Il solo polittico di Arcangelo di Cola noto nella sua forma originaria è quello già nell’abbazia di Santa Maria o del Santissimo Salvatore dell’Isola, presso Cessapalombo, firmato e datato 1425, andato perduto e noto grazie a una vecchia fotografia.21 Esso dimostra, come quello smembrato discusso in questa sede, l’adozione da parte del pittore marchigiano della tipologia del polittico fiorentino caratterizzato dal cosiddetto ‘arco ghibertiano’, che qui si sopraelevava sopra le dimezzate arcate dei laterali. Come inferito da Marchi,22 tale fastigio doveva egualmente aprirsi in oculi figurati, inclusivi dell’Annunciazione (se non prevista, come visto sopra, nelle cuspidi) o di busti di profeti. Mentre la larghezza dei pannelli della Národní Galerie (98,5 e 98 cm) è coerente con la presenza di due tasselli nella sottostante predella, quella della Madonna della Yale University (69,9 cm) lascia spazio per due soli elementi, mentre Zeri postulava la collocazione di altri due scomparti a fianco della Deposizione di Gesù dalla croce,23 che pare preferibile. La larghezza di quest’ultimo dipinto (26,2 cm), inferiore rispetto a quella dei compagni, può considerarsi infatti pressoché integra, in quanto a destra è limitata da una banda dorata e a sinistra dalla cresta della pittura (cfr. Tecnica di esecuzione e stato di conservazione), per cui la disposizione di soli due riquadri sotto la tavola centrale sarebbe insufficiente (sia in relazione alla Madonna americana sia in assoluto), mentre l’inserzione di tre porterebbe a una congrua ampiezza di circa 80 cm. In tal modo, l’estensione complessiva dell’opera non sarebbe stata inferiore ai 210 cm circa, in coerenza con il perduto trittico del 1425, in cui essa era prossima ai 200 cm (fig. 5).24
Nei polittici tardogotici fiorentini gli scomparti di predella hanno un simile formato tendente al quadrotto in corrispondenza dei laterali, mentre in genere alla tavola principale sottostà un solo scomparto allungato:25 con la sua spartizione in più scomparti, l’opera di Arcangelo mostra le proprie differenze rispetto alla prassi. In predicato è la probabilità dell’antica presenza di pilastri esterni figurati, che nel trittico di Cessapalombo esibivano la tipica configurazione fiorentina ad angolum. Nessun dipinto di questo genere si annovera tuttavia nel catalogo di Arcangelo di Cola.
Tecnica di esecuzione e stato di conservazione
Tecnica di esecuzione e stato di conservazione
La predella è oggi divisa in tavolette autonome, che in antico dovevano formare un solo tavolato sotto gli scomparti laterali del polittico cui esse appartenevano, nonché a fianco degli elementi al momento non rintracciati sotto la tavola principale.26 I tagli, eseguiti al momento dello smantellamento dell’opera, hanno portato a dimensioni leggermente differenti, massime nel Supplizio di san Giovanni evangelista (24,3 x 29 cm), che deve considerarsi come l’elemento più prossimo alle misure originarie: sul lato destro è infatti visibile (al pari di quello sinistro del Martirio di santa Caterina d’Alessandria, di quello destro della Traslazione del corpo di san Zanobi e della Deposizione di Gesù dalla croce) una banda dorata e punzonata con funzione divisoria, mentre sull’altro lato la pittura presenta una cresta ascendente che evidenzia la vicinanza con il bordo e l’antica cornice. Quest’ultima peculiarità si registra nel lato sinistro della Traslazione del corpo di san Zanobi, a destra del Martirio di santa Caterina e nelle parti superiore e sinistra della Deposizione di Gesù dalla croce, ovvero nelle zone poste in prossimità delle cornici. Da tali elementi, pertanto, si desume che la Deposizione, insieme ai perduti tasselli a essa accostati, esibiva una larghezza inferiore rispetto a quelli posti sotto i due Santi della Národní Galerie di Praga.
Non si rilevano tracce di pregressi sistemi di contenimento. Il supporto di pioppo, che mostra uno spessore oscillante tra 0,5 e 1 cm, presenta una fibratura disposta in senso orizzontale. L’oro è stato steso con una tecnica a guazzo su una stesura di bolo rosso-arancio, visibile in corrispondenza delle cadute. Vi sono tracce di oro in conchiglia nelle vesti. L’abito di santa Caterina d’Alessandria è stato realizzato incidendo la lamina dorata, oggi in stato lacunoso, con tratti fini e affastellati, secondo un procedimento tecnico desunto plausibilmente da Gentile da Fabriano.27 Le campiture particolarmente consunte lasciano emergere segni di un disegno preparatorio, forse realizzato a pennello sopra una preparazione chiara. Nelle architetture il disegno sottostante rivela in alcuni punti dettagli decorativi non realizzati o non più leggibili. Le stesure in blu e azzurro manifestano fenomeni di degrado più evidenti. Lo scomparto la cui pellicola pittorica ha subito maggiori alterazioni è la Deposizione di Gesù dalla croce. Con l’eccezione di una piccola area localizzata nell’angolo superiore destro del Martirio di sant’Andrea, non si registrano lacune significative. Alcune lettere sono state incise in antico, ma non all’origine, sulla foglia d’oro del Martirio di santa Caterina d’Alessandria, sotto l’apparizione dell’angelo, e graffi compaiono altresì all’estrema destra, sui volti degli aguzzini. Nell’insieme si rilevano interventi di integrazione pittorica a tratteggio. Le condizioni generali della serie appaiono, comunque, più che discrete.
Iconografia
Iconografia
La sequenza originaria dei dipinti, desumibile dalla configurazione dei due pannelli della Národní Galerie di Praga, prevedeva in ordine la Traslazione del corpo di san Zanobi, il Martirio di sant’Andrea, la Deposizione di Gesù dalla croce, il Supplizio di san Giovanni evangelista e il Martirio di santa Caterina d’Alessandria.28 Essi privilegiano momenti correlati al martirio e alla morte dei personaggi raffigurati. Il primo scomparto contempla un miracolo postumo del santo patrono di Firenze, allorché, nel corso della prima traslazione occorsa nel IX secolo, il catafalco, transitando davanti al Battistero per giungere sino al Duomo, sfiorò un olmo secco che, al contatto, risorse ricoprendosi di foglie e fiori.29 Si tratta di uno tra gli episodi più frequenti nell’iconografia del santo vescovo, già presente nella Vita di Lorenzo Amalfitano risalente al 1039 circa, quindi nella Vita dello Pseudo-Simpliciano riferita al XII secolo e più tardi incluso nella redazione degli Acta Sanctorum.30 Dato il suo rilievo, l’olmo è collocato in primo piano e alle sue spalle il feretro, da cui sbuca il capo del defunto coperto con la mitra vescovile, è portato in spalla da alcuni vescovi e seguito da un gruppo di laici e da un chierico.
Nelle figurazioni relative agli altri tre santi il pittore sembra essersi principalmente adeguato al racconto fornito dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze.31 Nel Martirio di sant’Andrea il proconsole Egeas, visibile a destra, ordina ad alcuni sgherri di legare il santo mani e piedi a una croce. In un successivo scomparto l’evangelista Giovanni, catturato dal proconsole mentre predicava a Efeso e inviato a Roma, viene immerso davanti a Porta Latina in una vasca di olio bollente posta sul fuoco acceso, da cui egli esce “del tutto illeso”, senza aver provato alcun dolore.32 Di seguito, il supplizio della ruota inferto a santa Caterina è colto nel momento in cui la vergine d’Alessandria implora il Padre Eterno di sfasciare la macchina torturatrice; all’appello risponde un angelo che la divelle con tale violenza da causare la morte di quasi quattromila pagani, qui ridotti simbolicamente a una sola vittima, schiantata sotto la ruota.
Al centro era collocata la Deposizione di Gesù dalla croce. Qui il corpo di Cristo viene schiodato da Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, mentre la Vergine è affiancata dalla Maddalena, vestita di rosso, e, sembrerebbe, da Maria di Cleofa e Maria di Salomè: in tal modo si noterebbe la significativa assenza di san Giovanni evangelista, a meno di non riconoscerlo nella figura con abito giallo e mantello rosso, ma dai tratti non bene distinguibili, che alla destra del gruppo eleva le braccia verso Gesù.33 La scena era posta a fianco del Martirio di sant’Andrea (cfr. Tecnica di esecuzione e stato di conservazione), creando un effetto speculare imperniato sulla centralità della croce: la narrazione fornita da Jacopo da Varazze mette in rilievo l’esaltazione del “mistero della croce”34 da parte dell’apostolo, che spinse Egeas a fargliene direttamente sperimentare le sofferenze. Probabilmente la Deposizione di Gesù dalla croce era seguita da uno o due altri episodi della Passione, che si sarebbero coerentemente posti in continuità con le vicende dei santi oggi note.
Attribuzione, commento critico e datazione
Attribuzione, commento critico e datazione
La serie di dipinti entra nella letteratura critica grazie alla menzione di Carlo Gamba (1906), che la poneva tra le opere di interesse secondario di Giovanni dal Ponte e della sua scuola, giudicandola autografa e considerandola di esecuzione tarda. Tale attribuzione è stata accettata da Adolfo Venturi (1911) e Raymond van Marle (1927), prima della restituzione ad Arcangelo di Cola da Camerino operata da Roberto Longhi (1940), che per primo vi scorgeva tracce della filiazione dalla predella del polittico dipinto da Masaccio per la chiesa del Carmine a Pisa, specialmente nel centurione che ordina il supplizio di san Giovanni evangelista. A parte le incertezze espresse da Rodolfo Pallucchini (1945), Marco Chiarini (1961) e negli ‘Indici’ postumi di Bernard Berenson (1968), il riferimento al pittore marchigiano ha trovato un consenso unanime. La datazione al termine del suo percorso è stata postulata da Federico Zeri (1950) sia in base al riscontro dell’“ormai avvenuto incontro con i primi masacceschi”, sia per la conoscenza delle opere licenziate da Bartolomeo di Tommaso da Foligno verso il 1430.35
Giuseppe Vitalini Sacconi (1968) anticipa l’esecuzione della predella estense a non oltre il 1425, osservando recuperi neo-trecenteschi nella composizione della Traslazione del corpo di san Zanobi: a suo avviso essa si rifà alle storie di santo Stefano di Bernardo Daddi della Pinacoteca Vaticana, mentre per altri in seguito (La Galleria Estense 1987; Sframeli 1990) la figura del giovane chierico sarebbe imparentata a quelle incedenti negli affreschi giotteschi della cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze.
Zeri (1969) tornò sull’argomento nel commentare i Santi della Národní Galerie di Praga, nei quali pure leggeva un equilibrio tra aspetti arcaizzanti e suggestioni proto-rinascimentali. A suo avviso le tavolette di Modena esponevano pertanto un’“interpretazione favoleggiata, persino capricciosa” delle più moderne novità propagate nel capoluogo toscano, in specie nella predella pisana di Masaccio. Ne sortiva in tal modo una datazione posteriore al 1426, allorché Arcangelo di Cola era ormai rientrato in patria, e una conseguita autonomia dalle sue prove del periodo fiorentino. Per Andrea De Marchi (1988-1989) l’empirica organizzazione degli scenari si sposa analogamente con il portato della lezione masaccesca, particolarmente visibile nell’aguzzino all’estrema sinistra del Martirio di sant’Andrea e in quello che, sulla destra del Supplizio di san Giovanni evangelista, è chino in avanti nell’atto di recare le fascine per alimentare la fiamma. Tali suggestioni non implicano a giudizio dello studioso un dialogo serrato con il polittico di Pisa, con il quale si possono comunque istituire confronti chiarificanti (la Decollazione di san Giovanni Battista e il Martirio di san Pietro, oggi nella Gemäldegalerie di Berlino), ma con altri modelli oggi ignoti del maestro valdarnese, che conducono nondimeno a una cronologia oscillante tra il 1425 e il 1427-1428, allorché Arcangelo dipingeva opere per stile affini, quali la Chiamata dei santi Pietro e Andrea già nella collezione Lanz ad Amsterdam e oggi nel Bonnefantenmuseum di Maastricht e la Sepoltura di Cristo già in collezione Bruscoli a Firenze.36
Con l’eccezione dell’ipotesi avanzata da Ciandella (2005; cfr. Provenienza), la tesi di un’esecuzione non anteriore alla metà degli anni venti viene ribadita dalla maggior parte degli studi e nella più recente analisi del percorso dell’artista camerte Alessandro Marchi (2002), che anticipa i tempi al 1423-1424 circa, rinnova la necessità di riprese specifiche dal repertorio masaccesco.
La gestazione del polittico Praga-Modena si colloca all’interno del soggiorno fiorentino di Arcangelo di Cola, iniziato plausibilmente poco prima del 1420 e ancora in essere verso il 1424-1425,37 allorché il pittore, licenziando il polittico di Cessapalombo, doveva fare probabilmente la spola tra la Toscana e le Marche,38prima del rientro definitivo a Camerino. Tale quinquennio fu intervallato da un viaggio a Roma ove egli, chiamato da papa Martino V che gli concesse un salvacondotto nel febbraio 1422, affermò di voler restare per circa otto mesi.39 Arcangelo partì probabilmente non prima dell’estate, allorché ricevette i pagamenti finali della tavola commissionatagli da Ilarione de’ Bardi, ma non sappiamo quando sia effettivamente rientrato a Firenze.40 L’opera in predicato si pone quindi prima o dopo tale permanenza nell’Urbe. La perdita del trittico di Cessapalombo, l’unico risultato datato dell’artista, ci priva di un importante tassello per la comprensione del linguaggio di Arcangelo alla metà degli anni venti, sebbene da quanto può desumersi da una vecchia riproduzione i santi laterali appaiano più frontali rispetto a quelli di Praga e il sistema delle pieghe nel manto della Vergine nella Crocifissione centrale più sintetico a fronte della santa Caterina d’Alessandria della Národní Galerie. Questa figura propone, insieme agli altri slanciati santi, caratteri squisitamente ghibertiani, sia nelle falcature dei panneggi, in debito principalmente con il San Giovanni Battista collocato a nel 1416 Orsanmichele, sia nel modellato turgido della testa elevata sul lungo collo,41 in linea, come enunciato a partire da Zeri, con la Porta Nord del Battistero fiorentino, montata nel 1424 ma in corso d’opera dall’inizio del secolo. Tale spiccato omaggio al Ghiberti convive con una concezione della figura che tende a divenire rettilinea, negli appiombi dei contorni dei santi Zanobi e Andrea, ove talune pieghe a canne cadono con risoluta verticalità, forse in virtù di un aggiornamento compiuto sulla statua bronzea di San Matteo dello stesso scultore (Firenze, Orsanmichele), ultimata nel 1422 e posta in situ nel 1423. A Firenze l’attività di Arcangelo di Cola si svolse in parallelo, all’ombra di Gentile da Fabriano e Ghiberti, di Giovanni di Francesco Toscani, come rivela il polittico smembrato già nella cappella Ardinghelli nella chiesa di Santa Trinita, compiuto nel 1423-1424: si noti, a tale proposito, come lo scarto delle pieghe nei santi praghesi riveli, a confronto coi Santi Giovanni Battista e Giacomo della Walters Art Gallery di Baltimora, una più sferzante tensione rispetto alle dolci ondulazioni impresse dal collega. Elementi consimili si leggono nelle due cuspidi con l’Annunciazione già Chalandon e oggi in collezione statunitense, che per stile convengono ai dipinti di Praga e che, come sopra enunciato, non stonerebbero quali parti del medesimo polittico.
Questo ritmo più mosso e febbrile si rileva parimenti negli scomparti di Modena. Esso si manifesta nella tendenza a creare diagonali nelle scene del Martirio di sant’Andrea, della Deposizione di Gesù dalla croce e del Supplizio di san Giovanni evangelista, ovvero nello scatto in avanti di aguzzini e accoliti. Tali movimenti appaiono particolarmente studiati, sono sottolineati da lumeggiature chiare che catturano il balenio di luci mobili e creano scorci virtuosi, come nell’esempio del torturatore di taglio quasi neo-giottesco visto di schiena sulla destra del Martirio di santa Caterina d’Alessandria. Queste pose devono molto al serbatoio di idee compreso nella Porta Nord e il senso di dinamismo, di linee oblique si relaziona con formelle quali la Cattura di Cristo. Lo stesso profilo del centurione nell’episodio giovanneo, con il suo busto inarcato in avanti, si rivela al fine più ghibertiano che masaccesco. Nell’inserto dell’angelo che, emergente in alto a destra da cirri di nubi, appare nel Martirio di santa Caterina d’Alessandria si giunge all’omaggio diretto a quello posto nello stesso punto del noto Sacrificio di Isacco.
Nell’insieme trapela nondimeno un’immediatezza che abbandona lo spirito aristocratico proprio dello scultore fiorentino, ma la tesi di un rapporto, appena acquisito ma ormai decisivo, con gli exploit masacceschi può, a parere di chi scrive, cedere il passo ad altri referenti culturali.42 Il gioco capzioso di figurine guizzanti e scorciate in un reticolo di diagonali era stato preluso da Gherardo Starnina nel Martirio di san Lorenzo della Galleria Colonna a Roma e nel brano dell’accolito prono in avanti nel Supplizio di san Giovanni evangelista Arcangelo riprende una figura che, egualmente protesa per raccogliere fascine di legna a terra, Agnolo Gaddi aveva inserito in uno dei miracoli del medesimo santo (la Trasformazione degli sterpi in oro e sassi) nella cappella Castellani nella basilica di Santa Croce.
Riquadri come quello dedicato a santa Caterina evidenziano invece il senso di spazialità, più empirico che ragionato a paragone della logica rinascimentale, che il pittore sperimenta nello scorcio della macchina di tortura e della sua manovella, al di qua di un piccolo edificio squadrato incuneato in avanti.
L’uso del chiaroscuro e delle luci, il trattamento dell’oro, il pittoricismo soffice e sfumato di alcuni dettagli come le vesti dei personaggi che avanzano sulla sinistra della Traslazione del corpo di san Zanobi denunciano l’influenza di Gentile da Fabriano, che si era trasferito a Firenze nello stesso frangente di Arcangelo.43 Nel profilo del volto, pur un po’ consunto, di santa Caterina non solo si ripropone quello dell’arcangelo Gabriele nell’Annunciazione ex Chalandon o di altre opere dell’artista (gli angeli della tavola della prepositura dei Santi Ippolito e Donato a Bibbiena), ma può scorgersi l’affinità di esiti con Giovanni Toscani (l’Angelo annunciante di collezione privata, parte del sopra citato polittico Ardinghelli) e il giovane fra Angelico, d’altronde evidente nel pavimento di marmi mischi su cui si elevano anfore della Madonna di New Haven.
Alla conoscenza delle tendenze più aggiornate dell’arte tardogotica Arcangelo unisce le connotazioni arcaizzanti che provenivano dalla tradizione figurativa della sua terra di origine: l’impaginazione della Deposizione di Gesù dalla croce è infatti memore, come hanno osservato Longhi (1940) e Zeri (1969), di antefatti trecenteschi riminesi,44 mentre la costituzione a scaglie lumeggiate che terminano in una punta dello spuntone di roccia sulla destra del Martirio di sant’Andrea è di tipo affatto veneziano, da correlarsi a esempi conservati nelle Marche e quindi noti al maestro di Camerino.45
Una lettura dei dipinti qui commentati che colga l’autonomia dal maturo linguaggio masaccesco ha tra le sue conseguenze la possibilità di una datazione lievemente più arretrata rispetto a quanto generalmente proposto. L’ipotetica connessione con il polittico Bardi in Santa Lucia de’ Magnoli comporterebbe una cronologia entro il 1422. A prescindere da tale eventualità, al momento priva di solidi punti di riferimento, siamo di fronte, con la sua immediatezza e vivacità di spunti narrativi, a un episodio tra i più originali della pittura fiorentina della prima metà degli anni venti.
STORIA CONSERVATIVA
Storia conservativa e restauri documentati
Storia conservativa e restauri documentati
1993
Donatella Magnani e ditta Restauro s.n.c.
Benché le tavole siano state soggette ad almeno un intervento nel corso del XX secolo, nessun restauro risulta specificatamente documentato, a eccezione di operazioni non specificate compiute nel 1993 da Donatella Magnani e dalla ditta Restauro s.n.c. Le condizioni nei primi decenni del Novecento sono attestate da due foto Sansoni (negg. 4286-4287),46 che rendono visibile una piccola fenditura nell’angolo superiore destro del Martirio di sant’Andrea, in seguito risarcita. Sia Longhi (1940) che Pallucchini (1945) registrano lo stato piuttosto disagiato della pittura: il primo consiglia una pulitura, il secondo nota uno stato di generale deperimento dovuto a “screpolature e ridipinture” e segnala un “grossolano rattoppo” nell’angolo superiore sinistro della Deposizione di Gesù dalla croce. Al fine di recuperare la planarità delle assi soggette a imbarcamento è stato effettuato in data imprecisata (probabilmente non prima della metà del secolo) un intervento di sverzatura, eseguendo sul retro sette tagli lineari, a scansione regolare, nel senso della venatura e per l’intera ampiezza delle tavole. Gli incavi sono stati quindi colmati con l’inserimento di cunei lignei (Fig. 6). In anni a noi più prossimi, Ferriani (1998) ha segnalato come la pellicola pittorica appaia generalmente consunta.
ALTRE SEZIONI
Storia espositiva
Storia espositiva
La serie di tavolette ha goduto di una costante esposizione in galleria a partire dal suo ingresso alla fine del XIX secolo. È ricordata nelle guide di Ricci (1925) come opera di scuola senese (o per altri, aggiunge il testo, emiliana) e di Zocca (1933) come di mano di Giovanni dal Ponte. L’ascrizione longhiana ad Arcangelo di Cola viene accettata con dubbio nel catalogo di Pallucchini (1945), ma è stata in seguito ribadita senza eccezioni, a partire dalla guida di Salvini (1955). I dipinti compaiono altresì nei volumi dedicati alle collezioni della galleria di Ghidiglia Quintavalle (1959 e 1967), ma non in quello successivo di Bonsanti (1977), per tornare nella guida curata da Bentini (La Galleria Estense 1987). Malgrado l’ampia fortuna espositiva acquisita a partire dal 1990 presso le varie mostre italiane che hanno contribuito a valorizzare le vicende della pittura tardogotica in Toscana e nelle Marche (cfr. Mostre), non vi è menzione dell’opera nelle più recenti guide illustrate di Bernardini (2006) e Casciu (2015).
Mostre
Mostre
Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento
Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù
21 aprile - 23 luglio 2006
Il Quattrocento a Camerino. Luce e prospettiva nel
cuore della Marca
Camerino, convento di San Domenico
19 luglio - 17 novembre 2002
Fioritura tardogotica nelle Marche
Urbino, Palazzo Ducale
25 luglio - 25 ottobre 1998
L’età di Masaccio. Il primo Quattrocento a
Firenze
Firenze, Palazzo Vecchio
7 giugno - 16 settembre 1990
Bibliografia
Bibliografia
A. De Marchi, La pala d’altare. Dal polittico alla pala quadra, Firenze 2012, p. 146 [Arcangelo di Cola].
A. Lenza, Il Maestro di Borgo alla Collina. Proposte per Scolaio di Giovanni, pittore tardogotico fiorentino, Firenze 2012, p. 34 [Arcangelo di Cola, con riflessi nella pala eponima del Maestro di Borgo alla Collina del 1423].
O. Pujmanová, scheda in O. Pujmanová, P. Přibyl, Italian Painting c. 1330-1550. I. National Gallery in Prague, II. Collections in the Czech Republic. Illustrated summary catalogue, Prague 2008, p. 51 [Arcangelo di Cola; conferma l’associazione coi Santi di Praga].
L. Michelacci, “Tra erudizione e impegno civile: aspetti e forme del collezionismo di Giuseppe Campori”, in Collezioni, musei, identità fra XVIII e XIX secolo, a cura di R. Balzani, Bologna 2007, p. 128 [Arcangelo di Cola].
C. Caldari, scheda in Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra (Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, 21 aprile - 23 luglio 2006) a cura di L. Laureati e L. Mochi Onori, Milano 2006, p. 285 n. VI. 11 [Arcangelo di Cola, ca. 1420-1430].
A. De Marchi, “A Firenze: la pala Strozzi e i polittici di San Niccolò Oltrarno”, in Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra (Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, 21 aprile - 23 luglio 2006) a cura di L. Laureati e L. Mochi Onori, Milano 2006, p. 247 [Arcangelo di Cola; conferma la ricostruzione di A. Marchi].
M. Minardi, “Profili biografici degli artisti”, in Gentile da Fabriano. Studi e ricerche, a cura di A. De Marchi, L. Laureati e L. Mochi Onori, Milano 2006, p. 169 [Arcangelo di Cola, ante 1425].
A. Ciandella, San Zanobi. Vita, reliquie, culto, iconografia, Firenze 2005, pp. 443-444 [Arcangelo di Cola, 1422 (?)].
A. De Marchi, “Pittori a Camerino nel Quattrocento: le ombre di Gentile e la luce di Piero”, in Pittori a Camerino nel Quattrocento, a cura di A. De Marchi, Milano 2002, p. 37 [Arcangelo di Cola].
A. De Marchi, scheda in Pittori a Camerino nel Quattrocento, a cura di A. De Marchi, Milano 2002, p. 179 n. 8 [Arcangelo di Cola; nota l’affinità di misure con il Martirio di San Lorenzo già in collezione Cini a Venezia].
A. De Marchi, “Viatico per la pittura camerte”, in Il Quattrocento a Camerino. Luce e prospettiva nel cuore della Marca, catalogo della mostra (Camerino, convento di San Domenico, 19 luglio - 17 novembre 2002) a cura di A. De Marchi e M. Giannatiempo López, Milano 2002, p. 52 [Arcangelo di Cola].
A. Marchi, “Arcangelo di Cola” e scheda, in Pittori a Camerino nel Quattrocento, a cura di A. De Marchi, Milano 2002, pp. 166, 175-178 n. 6, figg. 2-3 [Arcangelo di Cola, ca. 1423-1424; propone una ricostruzione del polittico originario].
A. Marchi, scheda in Il Quattrocento a Camerino. Luce e prospettiva nel cuore della Marca, catalogo della mostra (Camerino, convento di San Domenico, 19 luglio - 17 novembre 2002) a cura di A. De Marchi e M. Giannatiempo López, Milano 2002, pp. 165-166 n. 15 [Arcangelo di Cola; propone una ricostruzione del polittico originario].
D. Ferriani, scheda in Fioritura tardogotica nelle Marche, catalogo della mostra (Urbino, Palazzo Ducale, 25 luglio - 25 ottobre 1998) a cura di P. Dal Poggetto, Milano 1998, pp. 248-249 n. 95 [Arcangelo di Cola], https://archive.org/details/fiorituratardogo0000unse/mode/1up
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Note
Note
-
Sulle vicende della donazione della collezione Campori alla Galleria Estense, si veda Ghiraldi 1990, pp. 17-23. ↩︎
-
R. Galleria 1893-1894, p. 47 nota 4. Nessun altro gruppo di dipinti ex Campori confluito in galleria presenta infatti iconografia e datazione affini. ↩︎
-
Le tavole – edite da Meiss 1946, p. 15, come di anonimo fiorentino del 1415-1420 circa – sono state assottigliate e presentano sul retro una parchettatura novecentesca. Non sono qui visibili sigilli, etichette o timbri che identifichino la loro provenienza, ma solo iscrizioni con vecchi numeri di inventario (A 8 nel pannello raffigurante San Zanobi e sant’Andrea; A 17 in quello raffigurante San Giovanni evangelista e santa Caterina d’Alessandria). Le dimensioni fornite nel più recente catalogo (98-98,5 x 61,5 cm; Pujmanová, in Pujmanová, Přibyl 2008, p. 50) sono al netto della cornice neo-gotica, ma comprensive di un’aggiunta del supporto nella parte alta di ciascun scomparto (altezza 18 cm). Sono grato a Olga Kotková e Adéla Pavlíčková della Národní Galerie di Praga per le informazioni fornite sulle condizioni dei due dipinti. ↩︎
-
I dipinti compaiono negli elenchi stilati nel 1897 in vista del trasporto di varie casse dal Catajo a Vienna: si tratta delle tavole, già nell’oratorio del castello, raffiguranti “‘Santa Caterina’ colla palma, ed un altro Santo con libro e penna in mano” e “‘Due santi’, uno dei quali vestito da Vescovo con mitra”; a fianco la lettera K, relativa a Konopiště (Tormen 2010, p. 250; cfr. ivi, p. 248: “Santa Caterina ed un Santo”, “Due Santi”, per la citazione in un secondo elenco). ↩︎
-
Tale assunto viene in seguito ripreso in La Galleria Estense 1987, e da Ghiraldi 1990, p. 21, che riporta erroneamente come la provenienza Obizzi per le tavolette di Modena sia accertata. In contrario si è pronunciata Pujmanová, in Pujmanová, Přibyl 2008, p. 51. Aggiungo che un inventario parziale dei dipinti del Catajo databile al 1816 circa (Dugoni 2007, p. 58) include “Quadri n. 5 piuttosto piccoli, antichi e con ornamenti gotici detti volgarmente ditici e col fondo oro” (Baracchi 1993, p. 223), ma, in assenza di altre specifiche, l’identificazione con quelli qui discussi è affatto aleatoria. ↩︎
-
Sulla figura di collezionista di Giuseppe Campori si vedano, oltre al contributo di Ghiraldi 1990, Avellini 2007; Michelacci 2007; Collezionare autografi 2022. Manca, tuttavia, uno studio approfondito sulla formazione della sua raccolta di dipinti. ↩︎
-
Su questo viaggio e, in generale, sulla raccolta di dipinti primitivi del marchese Obizzi, si vedano Tormen 2010; Tormen 2014; Tormen 2016. Nel diario redatto durante il soggiorno fiorentino questi ricorda l’acquisto di “un quadro a forma di trittico (…) 2 trittici (…) e spero di averne altri 5” (Tormen 2016, p. 203). Tra questi potevano esserci i “2 quadri antichi a trittico della maniera di Giotto”, che in una seconda nota egli specifica di aver comprato (ivi, p. 173); altri potevano essere pezzi in avorio, come il trittichetto della bottega degli Embriachi pervenuto al Kunsthistorisches Museum di Vienna (M. Tomasi, in La fortuna 2014, pp. 336-338). Per i dipinti fiorentini del Quattrocento confluiti nella collezione, si vedano Dugoni 2007, pp. 47-63; A. Lenza, in La fortuna 2014, pp. 342-347. ↩︎
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I colori dell’abito di san Zanobi prevedono spesso una veste bianca sotto un piviale arancio o rosa. Il giglio compare talvolta nel fermaglio del mantello o nel nimbo (sull’iconografia del santo, cfr. Kaftal 1952, coll. 1036-1044; Ciandella 2005, pp. 422-484). Nel pannello di Praga l’aureola punzonata del santo presenta, tra le foglie lanceolate, foglie tripartite e un motivo a giglio sul lato sinistro. ↩︎
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Procacci 1929. La più tarda attestazione secondo la quale “Archangniolo di Cola dipintore dimora in Firenze” si trova in un registro dell’ospedale di Santa Maria Nuova (Firenze, Archivio di Stato, Ospedale di Santa Maria Nuova, vol. 5052, c. 2r; Procacci 1929, p. 127), che contiene una serie di pagamenti che corrono dal 1424 al 1426. Quello qui citato, verificato da chi scrive, è nella prima pagina, che inizia con l’indicazione della data 1 dicembre 1424; alla citazione di Arcangelo segue un pagamento del 15 novembre 1425. ↩︎
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La cappella, la cui costruzione era iniziata nel 1420, era compiuta verso la metà dell’anno seguente, allorché il falegname Andrea di Giovanni riceveva il compenso per la carpenteria della tavola. I primi pagamenti ad Arcangelo risalgono al settembre del 1421, il saldo al giugno 1422 (il relativo documento specifica come la tavola fosse munita di predella); tra i mesi di luglio e agosto dello stesso anno furono pagati il dossale d’altare e la cortina (Procacci 1929). Il pittore riscosse 80 fiorini, di contro ai 24 intascati da Bicci di Lorenzo. Per A. De Marchi, in Pittori a Camerino 2002, p. 179, il polittico era già concluso nel febbraio del 1422, allorché Arcangelo ottenne un salvacondotto per recarsi a Roma. ↩︎
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La proposta viene avanzata in virtù dell’esistenza della documentazione, ma non argomentata. ↩︎
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Per Longhi 1940 (ed. 1975), p. 53 nota 20, il Martirio di san Lorenzo in collezione Cini a Venezia poteva aver fatto parte di tale polittico, ma esso è stato in seguito considerato per ragioni di stile di esecuzione un poco più tarda e ipoteticamente collegato al complesso dipinto da Arcangelo di Cola per la chiesa di San Lorenzo a Bibbiena (Bernacchioni 2003, p. 238; cfr. A. De Marchi, in Pittori a Camerino 2002, p. 179). ↩︎
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Per queste notizie si vedano Gamurrini 1671, p. 171; Pandimiglio 1990, p. 19; Gori 1996, p. 254 nota 1. L’assenza nelle tavole praghesi di riferimenti iconografici relativi a Benedetto di Lippaccio potrebbe essere conseguente alla sua morte avvenuta nel 1420, che portò peraltro il fratello Ilarione alla conduzione, quale direttore generale, della filiale romana del banco dei Medici (De Roover 1970, pp. 64-67, 71). I rapporti con questi banchieri chiariscono come i pagamenti erogati ad Arcangelo per la sua tavola coinvolgano i Medici. Per Annamaria Bernacchioni (comunicazione scritta, maggio 2023), che ringrazio per le indicazioni e la discussione di questi aspetti della committenza di Ilarione, non è escluso che il lavoro di decorazione della cappella in Santa Lucia de’ Magnoli possa avere ottemperato a un lascito testamentario del padre Lippaccio. Costui deve essere il Lippaccio di Piero de’ Bardi che nel 1365 era castellano a Prato (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Poligrafo Gargani, mazzo 196, n. 47). Cfr. anche ivi, mazzo 197, n. 26, per la divisione degli Ilarioni dai Bardi. Sui rapporti dei Bardi con Camerino, che qui avevano un proprio fondaco: Di Stefano 1998, pp. 44-45; De Marchi 2000, p. 67 nota 6. ↩︎
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Richa 1762, p. 288. ↩︎
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Nel secondo Settecento e all’inizio del secolo seguente erano custodite in sagrestia varie “tavole antichissime” già in chiesa (Richa 1762, p. 295bis; cfr. Follini, Rastrelli 1802, p. 256). Due sepoltuari della prima metà del XVII secolo citano la cappella a fianco del pulpito: essa esibiva l’arme degli Ilarioni nella facciata e quella dei Bardi nella tavola (Firenze, Archivio di Stato, Manoscritti 628, Monumenti e cappelle della chiesa di S.a Lucia Oltrarno detta dei Magnioli [ca. 1602-1615], c. 11r; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.IV.534, Sepoltuario di Stefano Rosselli [1657], c. 185v). ↩︎
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Ciandella 2005, pp. 333-334. ↩︎
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La precedenza stilistica dell’Annunciazione rispetto ai pannelli praghesi era stata enunciata da Zeri 1969 (ed. 1992), p. 100, quindi da De Marchi 1988-89, p. 199 nota 42, che ha in seguito sottoscritto la ricostruzione di Marchi (De Marchi 2006, p. 247); così anche C. Caldari, in Gentile da Fabriano 2006, p. 285, e chi scrive (Minardi 2006, p. 169), in via ipotetica; cfr. anche nota 18. I tabelloni a vento conobbero una larga diffusione a Firenze a partire dal trittico di Mariotto di Nardo (ca. 1391; Firenze, Galleria dell’Accademia) proveniente dalla chiesa di Santa Caterina al Monte a San Gaggio (A. Staderini, in Cataloghi 2010, pp. 108-114; per la tipologia: De Marchi 2002, pp. 211-212). ↩︎
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Pujmanová, in Pujmanová, Přibyl 2008, p. 51, tende a escludere l’annessione della tavola statunitense, mentre appare più propensa al collegamento dell’Annunciazione già a Parcieux, che Zeri 1969 (ed. 1992), p. 100, aveva ipoteticamente connesso al polittico Bardi del 1421-1422. Per quanto concerne la Madonna di New Haven, Pia Palladino (nella scheda di prossima pubblicazione nel catalogo in rete della Yale University Art Gallery: https://artgallery.yale.edu/publication/italian-paintings-yale-university-art-gallery) vi associa con prudenza le tavolette ex Chalandon, ma non i pannelli di Praga e Modena, ipotizzando la provenienza dal complesso Bardi in Santa Lucia de’ Magnoli. Ringrazio la studiosa per lo scambio di idee nel corso della redazione delle rispettive schede. ↩︎
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Le dimensioni esatte sono fornite nei cataloghi d’asta ove le due opere sono transitate (New York, Sotheby’s, 11 gennaio 1990, lotto 30; Londra, Christie’s, 10 luglio 1992, lotto 39), nonché in occasione della loro esposizione a Fabriano (C. Caldari, in Gentile da Fabriano 2006, pp. 284-285). Le misure di 55 x 25,7 cm si riferiscono probabilmente alla sola superficie dipinta. Come nel trittico dell’Accademia fiorentina di Mariotto di Nardo (cfr. nota 17) e nel polittico Ardinghelli di Giovanni di Francesco Toscani (cfr. nota 20) la coppia di tavole affiancava plausibilmente una Crocifissione, al momento ignota. ↩︎
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L. Sbaraglio, in Gentile da Fabriano 2006, pp. 276-283 n. VI.10. ↩︎
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Santoni 1890; Marchi 2002, fig. 1. Sulla possibile origine del trittico dal Duomo di Camerino (e una nuova testimonianza d’archivio sul pittore): Mazzalupi 2006, pp. 3-5; cfr. Mazzalupi 2021, pp. 215-217. La seconda opera firmata dall’artista è il dittico del Frick Art Museum di Pittsburg. ↩︎
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Marchi 2002, fig. 2. ↩︎
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Zeri 1969 (ed. 1992), p. 99, seguito da M. Sframeli, in L’età di Masaccio 1990, p. 158. ↩︎
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Considerata la foggia della carpenteria, si può presumere che l’opera sia stata dipinta e confezionata a Firenze, nel frangente in cui Arcangelo di Cola non si era ancora definitivamente ristabilito a Camerino (cfr. nota 9). ↩︎
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Per alcuni esempi, da Mariotto di Nardo a Bicci di Lorenzo, cfr. Fremantle 1975, figg. 941, 996, 1074; A. Staderini, in Cataloghi 2010, pp. 108-114; D. Parenti, in Cataloghi 2020, pp. 89-95. ↩︎
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Per le informazioni fornite in questa sezione, cfr. la scheda tecnica di V. Ponza, A. Gatti, Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale (2023). ↩︎
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De Marchi 1988-1989, p. 194. ↩︎
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La disposizione dei cinque scomparti, entro una cornice moderna in essere sino al 2023 e già visibile agli inizi del secolo (negg. Sansoni 4286-4287), contemplava una sequenza non corretta (Martirio di santa Caterina d’Alessandria, Deposizione di Gesù dalla croce, Traslazione del corpo di san Zanobi, Martirio di sant’Andrea, Supplizio di san Giovanni evangelista). Per Longhi 1940 (ed. 1975), p. 55 nota 23, apparteneva altresì a tale predella il Martirio di san Filippo già in collezione Serristori a Firenze, di cui non ho rinvenuto traccia (neppure nel fascicolo dedicato ad Arcangelo di Cola nella fototeca della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi), la cui annessione, per ragioni iconografiche, è comunque da escludersi. ↩︎
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Il riconoscimento di tale soggetto si deve a Gamba 1906, p. 167, e più specificatamente a Kaftal 1952, col. 1041. ↩︎
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Acta Sanctorum 1866, p. 53 n. 9, 56 n. 17, 61 n. 13; Ciandella 2005, pp. 32-33. ↩︎ -
Jacopo da Varazze fine XIII sec. (ed. 1995), pp. 20-22, 389, 967-968. ↩︎
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Ivi, p. 389. Simile risoluzione iconografica è nella predella del trittico di Bicci di Lorenzo della Pinacoteca Nazionale di Siena (1430; dalla chiesa di San Bartolomeo a Vertine, Gaiole in Chianti; cfr. Frosinini 1984, p. 4), che si differenzia per l’apparizione di un angelo. ↩︎
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Sul piano iconografico la scena è modellata su esempi del Trecento riminese, che vanno dalla tavoletta di Pietro da Rimini (Parigi, Musée du Louvre) agli esempi di Giovanni Baronzio (Venezia, Gallerie dell’Accademia; Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica - Palazzo Barberini), ove, tuttavia, la Vergine e le tre Marie affiancano sempre l’evangelista Giovanni. ↩︎
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Jacopo da Varazze fine XIII sec. (ed. 1995), p. 19. ↩︎
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Gli studi hanno in seguito invertito tale rapporto, vedendo nell’attività finale di Arcangelo di Cola un preludio delle prime opere del pittore folignate (De Marchi 1988-1989, p. 199 nota 37; Marchi 2002, pp. 168-169). ↩︎
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In anni più recenti lo studioso (A. De Marchi, in Romano 2017, p. 401) ha confermato una cronologia intorno al 1425 per i quattro Santi di Praga. ↩︎
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Cfr. nota 9. ↩︎
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Nel giugno 1424 il pittore acquistava infatti un appezzamento di terreno a Camerino; la successiva attestazione della presenza in città è del 1428 (Di Stefano, Cicconi 2002, pp. 449-450 docc. 15 e 24). ↩︎
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Procacci 1929, pp. 122-123. ↩︎
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A giudizio di Boskovits 2002, p. 72 nota 16, non è verosimile che Arcangelo abbia rimesso piede a Firenze dopo la trasferta a Roma, soprattutto in quanto egli fece restituire gli anticipi di un’opera (il polittico per la collegiata di Empoli, commissione passata a Bicci di Lorenzo) che sapeva di non potere più condurre a termine. Ma tra il 1424 e il 1425 il pittore si trovava effettivamente nella città gigliata (cfr. nota 9). ↩︎
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Un dettaglio che si confronta con la produzione giovanile di Paolo Uccello (la principessa del San Giorgio e il drago della National Gallery of Victoria di Melbourne) e di fra Angelico (gli angeli delle Madonne di Fiesole e Francoforte). ↩︎
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D’altronde, sulla necessità di attenuare il portato delle influenze masaccesche si era pronunciato, in una posizione rimasta isolata, Boskovits 2002, p. 72 nota 16. ↩︎
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Aggiungo che nella rovinata, ma sofisticata Madonna di New Haven il manto avvolgente, che mette in rilievo l’articolazione delle ginocchia e casca infine a terra, crea un effetto di rilassato lusso profano, che si direbbe al corrente dell’evoluzione di Gentile da Fabriano in corrispondenza del polittico Quaratesi del 1425. ↩︎
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Cfr. nota 33. ↩︎
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La componente veneziana nel linguaggio di Arcangelo di Cola è stata rilevata da Boskovits 1994, pp. 297-299, 303-305. Roberto Longhi (comunicazione verbale a Martini 1959, p. 20) riferì all’artista la Crocifissione della Pinacoteca Comunale di Ravenna, poi collegata a Lorenzo Veneziano (Guarnieri 2006, pp. 220-221, su indicazione di A. De Marchi). ↩︎
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Pallucchini 1945, 200. ↩︎